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Brave New World

“Ed ecco, mi cacciavo, di nuovo, fuori, per le strade, osservavo tutto, mi fermavo a ogni nonnulla, riflettevo a lungo su le minime cose; stanco, entravo in un caffè, leggevo qualche giornale, guardavo la gente che entrava e usciva; alla fine, uscivo anch’io. Ma la vita, a considerarla così, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza costrutto e senza scopo; mi sentivo sperduto tra quel rimescolìo di gente. E intanto il frastuono, il fermento continuo della città m’intronavano.
           
«O perché gli uomini,» domandavo a me stesso, smaniosamente, «si affannano così a rendere man mano più complicato il congegno della loro vita? Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza crede onestamente d’arricchire l’umanità (e la impoverisce, perché costano tanto care), che gioja in fondo proviamo noi, anche ammirandole?»
            In un tram elettrico, il giorno avanti, m’ero imbattuto in un pover’uomo, di quelli che non possono fare a meno di comunicare a gli altri tutto ciò che passa loro per la mente.
            –Che bella invenzione!– mi aveva detto. –Con due soldini, in pochi minuti, mi giro mezza Milano.
            Vedeva soltanto i due soldini della corsa, quel pover’uomo, e non pensava che il suo stipendiuccio se n’andava tutto quanto e non gli bastava per vivere intronato di quella vita fragorosa, col tram elettrico, con la luce elettrica, ecc. ecc.
            Eppure la scienza, pensavo, ha l’illusione di render più facile e più comoda l’esistenza! Ma, anche ammettendo che la renda veramente più facile, con tutte le sue macchine così difficili e complicate, domando io: «E qual peggior servizio a chi sia condannato a una briga vana, che rendergliela facile e quasi meccanica?»”

LUIGI PIRANDELLO (1904)


Da: Il fu Mattia Pascal, Torino 1993, Einaudi, pp. 124-125.

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