Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da giugno, 2013

No, non è morta...

Pavia, 30 maggio 2013 (vel melius: Papia, ne lo die trigintesimo de lo mestruo Maio 1969+44)   Egregio Adriano Sofri, benché la presente possa sembrare “fuori tempo”, ritengo che non sia mai tardi per mettere a punto i propri pensieri e farne parte agli altri. Ritorno, perciò, al 2001, anno in cui il sito di Panorama pubblicò il Suo "Così il '68 sconfisse la goliardia". Il mio non è un rimprovero, perché non ho l’autorevolezza di Umberto Volpini e anche perché, in fondo, chi ha il gusto del confronto non può provare rancore nel contraddittorio. Mi limito a notare che Lei accusa altri di “sciocchezza” dichiarandosi, purtuttavia, “incompetente” in materia. Mysterium fidei, amen.             Questa lettera aperta vuol essere uno spaccato dei pensieri e dei sentimenti d’una goliarda d’oggi. Un a goliarda, perché, così come l’università ha accolto le donne massicciamente, l’ha fatto il suo alter ego. Ho avuto la ventura d’approdare in una delle molte città

Della tirannide - Un pensiero dal cassetto

La forma più pericolosa di tirannia è accarezzare le orecchie di chi ascolta. Le parole franche ed un poco sgradite stimolano la difesa intellettuale del destinatario e lo portano a discutere, ad essere attivo e consapevole. Invece, se lo si vuole docile e sottomesso, bisogna farsi carico di ciò che gli sta a cuore (in apparenza), solleticare le sue emozioni più trascinanti e fingere di condividerle. Insomma, bisogna personificare la soddisfazione dei suoi desideri più cogenti. (“Carriera” di alcuni tiranni famosi). Non si opporrà, né potrà opporsi, non solo perché crederebbe di perdere tutto così facendo, ma perché faticherebbe a motivare l’opposizione e, soprattutto, perché è la SUA volontà ad essere accordata al tiranno. Ultima notazione: il perfetto despota deve inebriare i propri schiavi di libertà. La via più rapida per portare alla schiavitù è fare larghe concessioni, soprattutto sul piano morale, proclamarsi progressisti (ciò vale per il periodo attuale…). Naturalmente,

Al posto loro

Lo zapping televisivo di mio padre, ultimamente, è approdato su una commedia del 1975:  Di che segno sei? Dallo schermo, facevano capolino volti arcinoti: Renato Pozzetto, Mariangela Melato, Adriano Celentano… e Paolo Villaggio. Il suo “proto-Fantozzi”, in questo film, è un marito distratto e misogino. Un giorno, si sente dare dal medico una notizia inusitata: il suo organismo si sta convertendo da maschile a femminile. Dopo lo sconforto del suo (preteso) orgoglio macho, comincia a guardare al mondo delle donne e lo riscopre con gli occhi dell’empatia. Questa parte del film fa sorridere, quando mostra Paolo Villaggio in abiti muliebri che, indosso a lui, sono improbabili. Però, la vicenda ha un retrogusto serio che è notoriamente la cifra d’ogni umorismo. La futura “donna per sbaglio” ripercorre aspetti della condizione femminile cui non ha mai fatto caso: il rischio di molestie, la ricezione di galanterie, la prostituzione, il bisogno di svago, la violenza domestica, una sessua

Il segreto

Un po’ goliarda, un po’ filosofo, con una barba che lo rende silenico quanto ci vuole. Il suo sorriso ha una leggerezza insostenibile (giusto per citare un’espressione nota). «Scrivi bene» mi dice. «Scrivi c*****e, ma le scrivi bene…» Un altro di quei sorrisi. Sto al gioco. Non si sa come, una battuta dopo l’altra, si finisce per fare considerazioni d’altro tipo. Lui parla con apparente noncuranza della propria non più giovane età (i tempi della Feluca, quella che io porto ancora sulle spalle, per lui sono passati da tempo). «Ho capito che io non sono i capelli che cadono, non sono i miei racconti…» «Chi sei, allora?» lo stuzzico. «Sono seduta vicino a te da mezz’ora e non so ancora chi tu sia…» Rido leggermente. «Quello che sono io lo sei anche tu» prosegue, sempre più sibillino. «Togliti gli occhiali» fa, poi. Mi precede nel gesto. Ora, nella nebbia del mio mal funzionante cristallino, le mie pupille cercano di fissare le sue. Non ricordo le domande che mi ha fatto e al

A volte, i sogni devono finire

«So che disprezzi la letteratura “pop-gothic-metropolitana” attuale…» mi dice G. Non è esatto. Ho semplicemente espresso qualche considerazione circa ciò che, secondo me, è la letteratura sui vampiri e su ciò che non potrebbe dirsi tale. Comunque, lei ha proseguito e mi ha consigliato un e-book fresco di Amazon: Le catene dei longevi , di Eleonora Scorti. Mi dice che l’autrice è sua amica. Probabilmente assai giovane, dunque (G. è nata nel 1990). Dopo qualche esitazione legata alla mia dichiarata tecnofobia, inauguro il mio Kindle. Supero lo scoglio legato all’apparente pathos da “polpettone sulfureo-spiistico-killbillesco”, nonché l’evidente orfania di correzione di bozze. Pian piano, però, il castello (anzi, il labirinto) orchestrato dalla Scorti assume altre dimensioni. E mi ritrovo davanti a una ragnatela di personaggi, lettere, diari, situazioni, luoghi che disegnano la vicenda con sfaccettature innumerevoli. Saralegui “Sara” Fox ha sedici anni e sembrerebbe la tipica ner

Grazie

Ringrazio di nuovo Roberto Matarazzo, che ha realizzato questi vivacissimi ex libris per La tessitrice di parole. Incontri come questi sono la vera gioia della poesia.

Ho visto

Ho visto. Ho visto gli atenei pieni di studenti e studentesse. Non erano né figli di papà, né una massa incosciente. Erano curiosi, folli, determinati, estrosi, brillanti, con l’orgoglio della coerenza e l’umiltà di chi vuole imparare ancora. Non li aveva “selezionati” alcun supervisore. Avevano raggiunto da sé il proprio luogo naturale, come gli elementi descritti da Aristotele.             Avevano un culto pacato e profondo della storia dell’università –della propria storia. Erano puntuali nel seguire l’attualità, per avere una traccia sulla via che avevano davanti. Si riconoscevano cittadini nei diritti e nei doveri. Divenivano furie, se qualche sedicente Ministro tentava “riforme” sprezzanti della libera universitas.             Coltivavano diversi campi di studio e avevano sposato diverse visioni del mondo; ma superiore a ogni loro passione era quella dello scambio dialettico. Le loro voci argute tintinnavano l’una contro l’altra come argento. Essere messi alla prova non