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Visualizzazione dei post da 2014

Per sempre mi sorriderai

"Sheila dormiva. Un silenzio ovattato e instupidito regnava in tutta la stanza, mentre una miriade di fiocchi pioveva pigra sulla città sonnolenta, risucchiando ogni suono e rumore. Solo di quando in quando, il lontano rintocco di una campana o lo schiamazzare di alcuni ragazzini restituivano a quell’universo surreale la parvenza di una sotterranea quotidianità. Nonostante la calda trapunta che l’avvolgeva, arrivando quasi a nasconderle il viso, Sheila fu gradualmente ma perfidamente destata dall’accecante trama luminosa che i candidi muri domestici e la neve, come congiurati, le avevano a poco a poco ordito attorno. Le nebbie di un sonno profondo e oscuro si stemperarono in un torpore diffuso, mentre ella si stiracchiava pigramente sotto le coperte. Che ora poteva essere? A giudicare dalla luce sfacciata che irrompeva attraverso le finestre (come mai non aveva abbassato le tapparelle?), doveva essere giorno inoltrato. Le sembrava di aver dormito una vita intera, ep

Un "Cerchio d'argento" nel cassetto

Fu la mia prima sperimentazione narrativa ad ampio respiro, fra i miei 15 e i miei 18 anni. Qualche anno più tardi, la pittrice e poetessa Beatrice Barnabà (l’autrice della presentazione de La tessitrice di parole   ) mi consigliò di disegnarne le illustrazioni.             Lo propongo ora come e-book gratuito, sperando che incontri l’affetto di qualche lettore. Il cerchio d’argento racconta, in quindici capitoli, le vicende di una curiosa quindicenne, Edvige: nel bel mezzo della quotidianità, le tocca un’esperienza che sarà dirompente e formativa allo stesso tempo. Si ritroverà, infatti, ad attraversare il passaggio verso la Sòmal-Màrie : una terra dove sembrano essersi concentrati e rimescolati i miti, i viaggi e la storia di cui pullula il bacino del Mediterraneo, fino a creare una sintesi inedita. Magia, leggenda e “normalità” si passano continuamente il testimone, senza, peraltro, che ne siano definiti nettamente i confini. Serene vicende d’amicizia si alternano all’intr

Ardente pazienza

Ultimamente, mi son presa la libertà di inviare questo tweet: Ovviamente, sulla mia bacheca di Facebook (collegata al mio profilo Twitter) è giunto in picchiata il solito “Savonarola” antimoderno, antiprogressista, antitutto (o quasi).             A casa, invece, mi sono arrivate le rimostranze telefoniche del “kompagno Peppone”, che mi ha sottoposto per l’ennesima volta all’esame di fede politica. #PepponeStaiSereno: dubito che, dai tuoi interrogatori, uscirà mai qualcosa d’interessante. Mi piacerebbe tanto potermi autodenunciare per qualcosa di figo, del tipo: “Sì, ho creato la lobby dei lombrichi cornuti… Intanto, ho piazzato sotto la sede del Parlamento una bomba caricata a canditi e uvetta…” La verità è che sfamo la mia sinistraggine campando stentatamente di liste civiche.             Comunque, per evitare altre torchiature da parte della Stasi, ho deciso di piazzare nero su bianco il significato di alcuni vocaboli in gazzoldese: Antiprogressismo = terrore patolo

Assolo notturno

Mi lascio alle spalle il cancello umido d’inverno. Nel vicolo cieco, penetra la luce di lampioni lontani. Una figura, in fondo alla viuzza, si stringe al cellulare. Scivolo accanto ai resti cariati di un rustico, alle finestrelle di quella che deve essere stata una stalla. Sorpasso la figura –una donna bassa, infelicemente inguainata in un tubino e nei collant.             Il chiarore dei lampioni, ora, mi raggiunge, senza illuminarmi. La sera fradicia e precoce di dicembre mi avvolge come un abito. Finalmente, sento di essere quello che sono: uno spettro pulsante in uno habitat d’ombre.             Proseguo lungo la via principale –una scorciatoia invitante si apre al mio fianco, ma la ignoro. Mi guardano case sempiterne, dai portoni di legno o dagli usci scheggiati, con finestre alte e mute ormai care ai piccioni Ma, ora, di piccioni non se ne vedono.             Sbocco in una via più larga, senza lampioni, ma con un paio di vetrine illuminate. Davanti a quella del caffè-p

La ragazza che amò Bocca di Rosa

La chiamavano “Bocca di Rosa”, dell’altra non è rimasto il nome; ma che presto fosse andata in sposa è noto senza “perché”, né “come”. Non ebbe tempo nella stazione del paesino di Sant’Ilario, ma avvertì una nuova stagione muover per l’aria del suo lunario. Ignorava l’amore per noia, tantopiù quello per professione; l’era pur toccata qualche gioia, se non proprio la vera passione: quella passione che conduce spesso a soddisfare le proprie voglie, senza saper che non è lo stesso concupir marito oppure moglie. A lei diedero buoni consigli, perché non desse cattivo esempio; capì alla fine ch’eran famigli d’un dio pagato per star nel tempio. Così imparò ad abbandonare quelle comar senza iniziativa, che scaldavano le anime amare al fuoco fatuo dell’invettiva. Quando a lei pure Bocca di Rosa rubò lo sposo in un soffio d’alba, lei ripercorse, discreta e ascosa, l’orme di lui sulla via scialba. A quel rumor d’insolito

Del Politicamente Corretto

Anche senza la boutade di Balotelli su SuperMario, se ne sarebbe parlato. Di Lui, l’Uno e Onnipresente: il Politicamente Corretto. In nome della crociata contro cotesto tiranno, si sono stretti attorno al ragazzo difficile anche coloro che, prima, lo consideravano un gran pezzo di somaro –o non lo consideravano affatto. Quali conversioni non sa operare una buona bandiera? E, dulcis in fundo, il grido di battaglia, con tanto di indirizzo alla sottoscritta: “Questo è il mondo che volete voi, con le vostre paturnie!”             Ebbene, Cavalieri dell’Acuta Frecciata e Paladini della Legittima Beceraggine: sappiate che non siete affatto eccezionali. Intanto, mi sfugge chi sarebbero quei “voi”, dato che io sono una senza essere trina. Ma, ancor più, vi ricordo che   la tizia con le paturnie ha creato Canidia Sagani , Angelico Mazzanti , Dentella D'Erpici  e Makkiavelli . Niente di che, ma sempre meglio del Nulla Cosmico che sapete schierare in campo voialtri. E, volendo continuar

Abbasso Romeo e Giulietta

E bravi, Romeuccio e Giuliettina. Ci avete turlupinato ben benino, col vostro balcone, la vostra allodola e il vostro usignolo (nessuna malizia). Ci avete piantato in testa quel ronzio del perché-sei-tu-Romeo (alla faccia delle domande utili!), non-giurar-per-la-luna, la-rosa-che-si-chiama-proprio-rosa-ma-profumerebbe-lo-stesso-con-un-altro-nome. Una simile matassa di ruffianerie si giustifica solo ricordando che il povero Bardo doveva pur sbarcare il lunario, in qualche modo. Diciamo pure che ci fa piacere pensare che si sia mantenuto in salute, anche per lasciarci un bagaglio di versi che non son spiacevoli da rileggere.             Però, tutto questo è un imbroglio infame. In quel posto meschino che noi comuni mortali chiamiamo “terra”, una storia come la vostra è tutto fuorché applaudita. Due persone nella vostra situazione non possono amarsi: per ovvie ragioni d’amor proprio, se non per altre. Non possono, perché ciascuno dei due è gravido di preconcetti e paure. Quand’anch

Tolleranza

Vivi o morti

Cominciare una nuova vita è un po’ come morire –e viceversa. Se ne rendono conto Adam (Alec Baldwin) e Barbara Maitland (Geena Davis), novelli sposi e, ben presto, novelli defunti. Beetlejuice   (1988; regia di Tim Burton) inscena un “colpo di destino” molto sardonico: la vita dei giovani coniugi si trova appesa a un filo, o, meglio, a un pelo di cane, tanto precario da sembrare calcolatissimo. Comunque, non si nota alcun distacco tra “aldiquà” e “aldilà”. Gli sposini passano dalla vita terrena a quella spettrale senza apparente attrito, forse anche per via della sorpresa e dello shock. Non hanno avuto tempo di rendersi conto di cosa fosse la morte e, a dire la verità, non l’avevano mai considerata nelle sue dimensioni. Dovranno conoscerla passo dopo passo, rendendosi conto che la loro familiare casetta è diventata un posto ignoto, dove le fiamme del caminetto non bruciano più, ma una semplice porta conduce in mondi deserti e ostili. Davanti alla morte, ogni uomo è tanto sprovvedut

Carità e vendetta

"T'ho ascoltato quando tu chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me?"  ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, cap. XXXV

De profundis

Nella mia solitudine domestica, ritorna l’immagine del tuo capo chino, delle tue ciglia calate sulle tue confessioni spontanee. Riecheggiava, nelle tue parole, Amleto: I am myself indifferent honest; but yet I could accuse me of such things that it were better my mother had not borne me. Ti sentivo elencare le tue ire, le tue bizze, le tue intemperanze. Davo ragione a ciascuna delle tue osservazioni. E benedicevo la vita per la tua esistenza.             Mi venne in mente, allora, il paradosso intrinseco in ogni Amen , nel sentimento stesso del Creatore al settimo giorno. Non si può amare una perfezione, perché l’amore è rivolto a un’individualità e l’individualità è definita dai difetti, dalle deviazioni rispetto a un modello condiviso.             Qualcuno ha descritto il Cristianesimo come una religione molto imperfetta. Io lo direi, piuttosto, la religione degli imperfetti. Non ha il nitido equilibrio del Buddhismo, né la veneranda età dei Veda, né la sensibilità molteplice

Il nido

Sulle ciglia della finestra, un torpore di gelsomini; serpeggia un’anima silvestra fra i muri in un nodo vicini. È bianca l’Assicurazione attonita, come un umore risvegliato da un’impressione in un cerchio di mura more. Nel suo ventre liscio, Antonello non guarda il ritaglio del vetro; fuor d’esso, il silenzio è il sacello d’ogni pensier lasciato indietro. Nel giorno d’ignaro lavoro, sussurra cauto il pergolato; sulla finestra dorme un coro di becchi in un nido neonato. Una merla riporta il cibo caro all’ombra del rampicante; nessuno le canta Introibo ad altare Dei (sono tante): dacci oggi il nido quotidiano, però, Tu sordo ai riti sterili, amante del miracol strano che fa nuovo il seme di ieri. Menzione speciale “Maria Gaetana Agnesi” per la sez. B – Poesia a tema “Uomo-Natura-Ambiente” del Concorso Internazionale Artistico Letterario “Ambiart”, IV edizione 20

Deliri(c)o #2

Per la serie Repetita (quae non) iuvant, non paga d’aver disturbato le ceneri della Monaca di Monza , mi sono rivolta a un’altra figura femminile limpida e rassicurante: la regina assira Semiramide. Comunemente, è conosciuta per essere stata asserragliata da Dante insieme agli eterei volatili del II Cerchio infernale. Leggendo Diodoro Siculo, si apprende che Semiramide, peraltro –a prescindere da qualunque doppio senso – non era priva di rapporti con gli uccelli. Abbandonata da bambina, sarebbe infatti stata nutrita dalle colombe. Il resto è un caleidoscopio di leggenda, guerre e intrighi di corte. Più che la reggia di Ninive, mi par d’aver descritto quella di Elsinore e Ninia ricorda, a tratti, Amleto. Di sicuro, fino alla fine, neppure io sono stata certa dei veri sentimenti dei miei personaggi. C’è del marcio in Assiria. E nessuno è sicuro, se non d’una cosa: una giganteggiante solitudine. Il testo completo del libretto d'opera è scaricabile gratuitamente da  qui .

Siegfried nel Far West, ovvero Virtù e Fortuna

Trattando di Sentieri selvaggi , R. parlò di “morte del western”, per il venir meno di quel senso dell’ignoto che ne era l’anima. Parlò anche del virilismo e del razzismo indispensabili al genere. Django Unchained   (2013; scritto e diretto da Quentin Tarantino) li ostenta entrambi e lo fa nel teatro più adatto: il Nord America del 1858, in piena economia schiavistica. Il titolo è asciutto e pregnante come quello delle tragedie greche. Esso ricorda per contrasto Prometeo incatenato. Di sicuro, anche qui viene narrato il mito di una figura titanica che si oppone alla “tirannide naturale e necessaria”. Come si fa con ogni forma d’arte ormai esaurita, il film gioca a ricombinare i modelli del passato. “Django” è un nome arcinoto ai cultori del western: proprio poco fa, qualcuno mi ha menzionato la prima versione del personaggio, interpretato da Franco Nero, che ha offerto la propria partecipazione straordinaria anche per la pellicola di Tarantino. Se il primo Django era nero nell’ab