Ultimamente,
mi son presa la libertà di inviare questo tweet:
Ovviamente,
sulla mia bacheca di Facebook (collegata al mio profilo Twitter) è giunto in
picchiata il solito “Savonarola” antimoderno, antiprogressista, antitutto (o
quasi).
A casa, invece, mi sono arrivate le
rimostranze telefoniche del “kompagno Peppone”, che mi ha sottoposto per
l’ennesima volta all’esame di fede politica. #PepponeStaiSereno: dubito che,
dai tuoi interrogatori, uscirà mai qualcosa d’interessante. Mi piacerebbe tanto
potermi autodenunciare per qualcosa di figo, del tipo: “Sì, ho creato la lobby
dei lombrichi cornuti… Intanto, ho piazzato sotto la sede del Parlamento una
bomba caricata a canditi e uvetta…” La verità è che sfamo la mia sinistraggine
campando stentatamente di liste civiche.
Comunque, per evitare altre
torchiature da parte della Stasi, ho deciso di piazzare nero su bianco il
significato di alcuni vocaboli in gazzoldese:
Antiprogressismo = terrore
patologico del cambiamento, che fa vedere ogni iniziativa non prevista dai
propri schemi come passo verso un baratro insondato.
Progressismo = continua
tensione verso uno stato di cose non ancora realizzato (e forse mai
realizzabile), in nome del quale si è disposti, eventualmente, a passare col
rullo compressore sull’esistente.
Non
saranno definizioni a prova di manuale, ma codificano bene due atteggiamenti
diffusi e osservabili. Mi dispiace, ma io trovo
discutibili entrambi. Il primo si oppone all’ἀνάγκη (= necessità
impersonale e ineluttabile) per cui πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός ( = “tutto scorre come
un fiume”). Gli esseri viventi esistono nel costante ricambio di cellule. Le
tradizioni consistono nell’accumulo progressivo di eredità, le culture
nell’adattamento ad ambienti e circostanze, i rapporti umani nel continuo
“venirsi incontro”. E via discorrendo, ad
libitum. Arroccarsi per fifa (od orgoglio) sullo status quo significa strozzare questo flusso costante, affondando
il proprio prossimo in una palude o annegando in prima persona.
Ma anche trattare come sprezzabile
vecchiume quel che si ha intorno è un atteggiamento esistenziale criticabile. Il
“vecchiume” è tutto ciò che è stato pazientemente e faticosamente elaborato da
chi ci ha preceduto e che consente, oggi, il lusso di poter vivere criticando:
leggi, costumi, conoscenze mediche, belle arti, tecnologie, gastronomia, noi
stessi. Nel piatto di pastasciutta che ci sembra tanto scontato, ci sono: la
scoperta dell’America (per il pomodoro), l’invenzione dell’agricoltura (per il
grano), la domesticazione dei bovini con elaborazione dell’arte casearia (per
il formaggio grattugiato), le conoscenze chimico-fisiche (per la bollitura),
ecc. I futuristi bollarono tutto questo come “assurda religione gastronomica
italiana”. Oggigiorno, i “superati” spaghetti troneggiano ancora sulle tavole e
possono sghignazzare in memoria del borioso Carneplastico. Saremo pure arretrati, ma almeno non ci ridurremo a masticare pezzi di un
priapo gigante.
Quindi, allontanandosi da tavola, che fare?
Si
potrebbe fare come il “kompagno Peppone”, che ha dapprima riscoperto le
ideologie novecentesche, per poi votarsi a una religione-filosofia ancora più
antica e articolata di quelle sbandierate dai “Savonarola” nostrani. Oppure, si
può praticare l’ardente pazienza, per
parafrasare Antonio Skármeta. Non disprezzare nulla, conoscere il più
possibile, raccogliere uno per uno i tasselli del reale. Non temere d’avere
torto, non temere di capire troppo o
di dover ritrattare a un certo punto. Non è tempo per i puri. Viviamo in un
mondo troppo complesso per poter avere
sempre ragione. Questo è il secolo
degli ibridi.
Vedremo antiquati provinciali
richiedere il matrimonio egualitario e il cambio di documenti per transgender
non medicalizzati (mi fischiano le orecchie…). Vedremo atei convinti farsi
monaci e discettare di tarocchi. Vedremo credenti ispirarsi all’immanentismo
aristotelico (ma sarebbe una novità?). Anzi, per quanto mi riguarda, questo
futuro è già presente. Né ci si preoccupi subito del “nome”, della
“definizione” di questa mentalità. Prima si genera, poi si battezza. La classificazione è lavoro da posteri. Ciò
che conta è aver l’intelletto teso a discernere l’altro, i suoi bisogni così simili e così diversi dai propri.
Rompere le barriere dell’egoismo e dell’irrisione perché gli uni imparino la
lingua degli altri e il singolare vivere di ciascuno s’incastri con quello
altrui, come in un puzzle meticoloso e vigilato. Nessun dorma.
scrivi bene.
RispondiEliminaMolte grazie. :)
EliminaL'importante è rimanere dalla parte del Giusto (e qui sono più con Peppone: le ideologie, in effetti, contano!!) e, utilizzando il mezzo letterario (che tu possiedi, eccome!) cercare di intrattenere (nel senso di "entertain", proprio!!) il lettore. Cercasi romanzieri. Possibilità di discussione e/o di inserire i titoli delle proprie opere qui
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/groups/1424626911083994/
o qui
https://www.facebook.com/groups/495051407178203
Romanzieri? :D Io ho un solo romanzo, nel cassetto... ;) Quanto alle ideologie, ne comprendo l'importanza in teoria, ma non riesco a riconoscermi più di tanto nella pratica. Devo ancora "cuocere assieme" troppi aspetti della mia formazione, prima di potermi dare una definizione con cognizione di causa... Probabilmente, è questo che teme Peppone: ovvero, che i vari ingredienti di me stessa non si amalgamino correttamente. ;) Quel che credo io è che riuscirò a riconoscermi in un'ideologia solo elaborandone una. ;)
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