Mi
lascio alle spalle il cancello umido d’inverno. Nel vicolo cieco, penetra la
luce di lampioni lontani. Una figura, in fondo alla viuzza, si stringe al
cellulare.
Scivolo
accanto ai resti cariati di un rustico, alle finestrelle di quella che deve
essere stata una stalla. Sorpasso la figura –una donna bassa, infelicemente
inguainata in un tubino e nei collant.
Il chiarore dei lampioni, ora, mi
raggiunge, senza illuminarmi. La sera fradicia e precoce di dicembre mi avvolge
come un abito. Finalmente, sento di essere quello che sono: uno spettro pulsante
in uno habitat d’ombre.
Proseguo lungo la via principale
–una scorciatoia invitante si apre al mio fianco, ma la ignoro. Mi guardano
case sempiterne, dai portoni di legno o dagli usci scheggiati, con finestre
alte e mute ormai care ai piccioni Ma, ora, di piccioni non se ne vedono.
Sbocco in una via più larga, senza
lampioni, ma con un paio di vetrine illuminate. Davanti a quella del
caffè-panetteria, ciondolano due ragazzi in jeans. Risate oziose e stonate. Più
avanti, nella macelleria degli egiziani, uno
dei titolari sta ancora pulendo il bancone. Lo saluto dall’altro lato del
vetro. Lui ricambia il cenno, come suo solito. Mi chiedo se m’abbia davvero
riconosciuto, dietro i miei occhi resi ogivali dalla matita e il rossetto nero.
La luce calda che inonda la chiesa
di San *** mi lambisce. Rasento i fianchi matronali della pieve, lasciandomi
alle spalle l’orlo alberato della piazza. Incontro un bar di recente apertura,
scintillante di specchi e balocchi elettrici, il cui riverbero macula le
poltroncine bianche all’esterno. Mi sfugge un sorriso perfido. Altri ragazzi
come me, negli anni Ottanta, devono aver solleticato con la propria ombra
funerea i piedi del consumismo e dell’edonismo. Memento mori. Vanitas vanitatum.
Il problema è che, oggi, negli anni
Duemila, questa morte presagita è più vicina e se ne sente ormai il lezzo
rivoltante. Non riesco più a sorridere.
Nella via più ricca di negozi e di
locali, le luminarie appendono il Natale imminente sulle teste dei passanti.
Svolto e mi rituffo nel buio. Avanzo verso un’area che fu, decenni addietro, il
fiore all’occhiello di questa piccola città. Le finestre di quella che, ora, è
una casa di riposo occhieggiano verso la piazza deserta. Come feritoie
luminose, scalfiscono la laguna d’ombra. Buonanotte,
mondo.
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