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Visualizzazione dei post da aprile, 2013

Il gioco delle parti

«Sei di destra o di sinistra?» Questa domanda mi fu candidamente posta da alcuni miei compagni di scuola media. Risposi che di politica   sapevo quanto le sedie del corridoio. Oggi, la risposta sarebbe leggermente diversa: quella che   Giorgio Gaber diede in Destra Sinistra . Fra “destra” populista e “sinistra” intellettualista –o, meglio, centri di vario colore che stanno vedendo le 5 Stelle- cosa volete che possa dire? A livello universitario, ho sempre votato per il Coordinamento per il diritto allo studio – UDU. Una provinciale con le pezze alle natiche può solo apprezzare l’operato di chi argina il salasso delle tasche studentesche. Ho pencolato, talvolta, per Ateneo Studenti. Di Azione Universitaria non parliamo: in quanto goliarda, non apprezzo molto il fatto che impalmino la Feluca come simbolo elettorale. Un po’ di rispetto per la Cosa Più Sacra che C’È, insomma… Frequento i circoli ARCI, di cui apprezzo l’impegno nel proporre cultura al di fuori del marketing e

Una passione senza crisi

La casa editrice Salani è cresciuta con l’Italia. Una mostra ha festeggiato i suoi 150 anni di vita. Da essa, è stato mutuato il titolo della lectio magistralis della direttrice editoriale Mariagrazia Mazzitelli: “Da Pinocchio a Harry Potter:   la cucina dei best seller”. Essa ha inaugurato la 6^ edizione del Master di I livello: “Professioni e prodotti dell’editoria”, organizzato dal Collegio Universitario S. Caterina da Siena, in collaborazione con l’Università degli Studi di Pavia. Sarebbe seguita la presentazione del libro realizzato dai masteristi, come consueto compito di fine corso: “Inchiostro proibito. Libri censurati nell’Italia contemporanea” (Edizioni Santa Caterina). Nella sala conferenze “Enrico Magenes”, il 14 febbraio 2013, la rettrice Maria Pia Sacchi Mussini ha annunciato che le classi del master sarebbero state due, anziché una, causa aumento di iscrizioni. Fra i masteristi, spesso, si ritrovano laureati di campo umanistico. Per questo, era presente la prof.ssa

Orgoglio e pregiudizio, ovvero Quel perduto gusto del "noi"

Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.   Dopo la serata in memoria di Giorgio Gaber, queste parole si rincorrono in circolo nella mente, con ritmo d’ossessione. Anche la “libertà” sembra essere un’ossessione, per tanti: quando si domanda loro di scomodarsi. Si dice che venga dalla Grecia. Ebbene, laggiù esisteva il concetto di ἐλευθερία ( eleutherìa ): la condizione del non essere schiavo, nel senso giuridico del termine, o l’indipendenza politica da potenze straniere. E basta. Il termine non era stato ancora inzuppato dai fiumi d’inchiostro (di radice soprattutto stoica) che han fatto di tutto per complicare/allargare la sua accezione. Operazione che ha, di fatto, privato la parola “libertà” di qualunque significato solido. Il concetto torna buono per tutto e per niente: “Voglio avere la libertà di uscire alla sera!”; “Sarò libero di stare in pace per due minuti?!”; “Bah… sei li

Come pesci in un acquario

Quando si parla del grado di libertà individuale, mi vien da pensare agli uomini come a pesci in un acquario. Quelli più quieti nuotano sempre nello stesso lembo d’acqua. Le pareti trasparenti della vasca proiettano intorno a loro orizzonti che sembrano illimitati. Ciò li porta a pensare di disporre di spazi vastissimi e inebrianti; ma, poiché non sentono un vero bisogno di raggiungerli, restano fra le proprie parentesi fluide e, in esse, si sentono perfettamente liberi.             I pesci più animosi, invece, guardano sempre a quegli spazi offerti con tanta lusinga e si slanciano verso di essi. Nel farlo, però, sbattono contro le pareti trasparenti. Da quel momento in avanti, non sarà più possibile a loro sentirsi liberi. Sapranno che le loro vite sono inesorabilmente murate, sia pure per garantire la loro incolumità. Non pochi giungeranno a considerare menzogna quell’invisibilità delle pareti, la trasparenza che li ha illusi. Né potranno veder compresa la propria amarezza da p

Iuvenes dum sumus

Non credevo che, un giorno, sarei arrivata a scrivere queste parole. Proprio io, che, al liceo, passavo per “Figlia di Maria”, perché schivavo le tipiche “intemperanze” adolescenziali… Eppure, presentemente, ho raggiunto una piccola consapevolezza: non è il giovane “intemperante” a dover fare paura. È quello incapace di uscire dai propri schemi. Sarà stato perché sono cresciuta in un oratorio di gente schietta e rustica (dialetto bresciano oportuit ). Sarà stato perché era normale lanciarsi secchiate d’acqua dopo una giornata di GrEst, farsi il sacco nel letto ai campi-scuola, scherzare anche in modo piccante, sgolarsi… Fatto sta che mi ero fatta l’idea d’una gioventù spregiudicata, entusiasta, scherzevole e godereccia per natura. Gaudeamus igitur,/iuvenes dum sumus... Eppure, certi individui soffiati dal Destino sulla mia strada pavese potrebbero far vacillare la suddetta idea. Persone di zuccherino, cristallose, con la lamentela facile e la connessione quasi telepatica alla f

Se...

SE “essere moderni”significasse: Fare pellegrinaggi degni del cammino di Santiago per un nuovo i-Phone; Non avere altro Dio all’infuori del proprio ego; Avere il deretano nella bambagia e rifiutarsi di riconoscere ciò; Pensare di poter ritirare la parola data quando pare e piace; Far fare al computer magie da Merlino, salvo poi lasciare in standby il cervello; Trattare Bacco, Tabacco e Venere come se fossero le ultime novità sul banco del consumismo; Proclamarsi “liberi”, per poi impecorarsi al seguito d’ogni idiozia che vada di moda; “Sentirsi grandi” davanti a chi è stato provato dalla Vita ben maggiormente; Pretendere tutto e subito; Far durare le proprie relazioni meno della batteria d’un cellulare; Non sapere da dove si venga, chi si sia e dove si vada… e ritenere inutile saperlo; Soprattutto, disprezzare chiunque non si adegui ai punti precedenti