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Visualizzazione dei post con l'etichetta individualismo

Due donne intorno al cor mi son venute…

È abbastanza ovvio che, smaltendo i postumi del Family Day, vengano in mente loro due: Costanza Miriano e Giorgia Meloni. Non abbisognerebbero di presentazioni, ma la mia deformazione professionale didascalica mi impone di scrivere qualche riga per ciascuna: Costanza Miriano 1.       Costanza Miriano : nata a Perugia il 26 ottobre 1970. Giornalista, scrittrice e blogger  italiana. Laureata in Lettere classiche, per quindici anni ha lavorato per il Tg3; ora, si occupa di tematiche religiose su Rai Vaticano e collabora con Avvenire, Il Timone, Credere e Il Foglio . È famosa soprattutto per due libri con titoli che parafrasano versetti paolini, Sposati e sii sottomessa (2011) e Sposala e muori per lei (2012). Sul suo blog, la pagina intitolata “La sottomissione” esordisce così: “Allora chiariamo subito una cosa. Ognuno deve fare la sua parte. C’è chi predica e chi razzola. Io mi candido per la parte della predicatrice, che razzolare bene è troppo fatico...

Il patto con Melusina e altre questioni (in)attuali

Spesso, mi capita di discorrere con un mio caro amico, decisamente più conservatore di me, di questioni come la concezione della famiglia, il rapporto fra individuo e comunità, il ruolo femminile nella cura dei figli. Quello che lui dice –almeno in parte- è abbastanza autoevidente. Ovvero: i rapporti all’interno della famiglia dovrebbero essere all’insegna della condivisione; l’individuo come entità assoluta non esiste, perché ognuno di noi vive in un contesto socioeconomico che contribuisce a plasmare anche le nostre convinzioni e a condizionare i nostri comportamenti; le donne tendono –in linea di massima- ad avere un rapporto più diretto coi figli e un’inclinazione maggiore alla cura dei propri cari. Io, come Lucia Mondella nella conclusione de I promessi sposi , non trovo che i discorsi del “mio moralista” siano falsi in sé, ma avverto che manca qualcosa. L’amico di cui sopra, ovviamente, liquida la mia miscredenza come frutto dell’individualismo moderno e cita “il modello di fa...

Vaso di coccio e vaso di ferro

“Il mattino dopo, mentre la casa era ancora immersa nel sonno, uscimmo come due ladri per andare a fumarci i nostri ultimi narghilé in riva al mare. Moussa era avvelenato fino alla punta delle unghie dall’odio che nutriva ora nei confronti della figlia. L’idea di tornare a casa umiliato, dopo essersi tanto ripromesso di riportarla indietro per amore o per forza, gli era più greve che se avesse dovuto recare ai suoi la notizia della morte di Sarah: ‒Ti giuro che scoppierei di gioia se la vedessi morta stecchita, là, sotto i miei occhi! Quella carogna!             Quel mattino ero assai mal disposto ad approvare entusiasticamente un simile esclusivismo sentimentale. Lo sentivo fratello del mio e pieno d’ingiustizia. Cercai anche di comunicare al povero padre i miei stessi dubbi, per diminuire la violenza del suo odio, ma fu fatica sprecata: ‒Certo!... Per te, è facile mostrarti tollerante, dato che tu non ci vai ...

Non è sempre Stoccolma

“Sindrome di Stoccolma”. Un concetto affascinante e complesso che si è librato fuori dal cielo delle neuroscienze, per correre nei pascoli del linguaggio comune. Purtroppo. Non appena si vede qualcuno andar d’accordo con persone che non hanno immediatamente soddisfatto il suo ego, ecco che arriva: “Ah! Sindrome di Stoccolma…” No, miei cari.   La  sindrome di Stoccolma è quel legame di complicità che si crea in un sequestro di persona fra il rapito (che si affida al sequestratore) e il rapitore (che è gratificato dall’abbandono “infantile” del sequestrato). Niente di scandaloso. Normale debolezza umana. Comunque, come è spiegato bene nel Dizionario Della Salute di Corriere.it, la sindrome riguarda espressamente i sequestri di persona a mano armata, con costante pericolo di vita per gli ostaggi. Non c’entra niente con l’affetto verso un genitore/docente severo. Non c’entra niente con la disponibilità a riconoscere un errore (secondo un codice comportament...

Orgoglio e pregiudizio, ovvero Quel perduto gusto del "noi"

Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.   Dopo la serata in memoria di Giorgio Gaber, queste parole si rincorrono in circolo nella mente, con ritmo d’ossessione. Anche la “libertà” sembra essere un’ossessione, per tanti: quando si domanda loro di scomodarsi. Si dice che venga dalla Grecia. Ebbene, laggiù esisteva il concetto di ἐλευθερία ( eleutherìa ): la condizione del non essere schiavo, nel senso giuridico del termine, o l’indipendenza politica da potenze straniere. E basta. Il termine non era stato ancora inzuppato dai fiumi d’inchiostro (di radice soprattutto stoica) che han fatto di tutto per complicare/allargare la sua accezione. Operazione che ha, di fatto, privato la parola “libertà” di qualunque significato solido. Il concetto torna buono per tutto e per niente: “Voglio avere la libertà di uscire alla sera!”; “Sarò libero di stare in pace per due minuti?!”; “Bah… se...

L'equivoco

Un errore che commette spesso il nostro individualismo è quello di confondere sottomissione e dedizione. La sottomissione è la condizione di chi obbedisce alla volontà d’un altro perché questi, momentaneamente o meno, possiede una forma di forza: quella dei muscoli, del denaro, dell’opinione pubblica, delle cariche, delle leggi, della cultura, dei legami familiari, delle armi, della reputazione. La dedizione è la condizione di chi cerca di realizzare la volontà e i desideri d’un altro senza che nessuno glielo chieda: per voluptas diligendi, amore d’amare. Perché quell’ “altro” (singolo o collettivo, concreto o ideale) riempie la vita in modo potente, è una trasfusione salutare nelle vene dell’animo. Cosicché non ha neppure troppo senso distinguere volontà e desideri di chi si dedica da quelli della persona a cui si dedica. Ci sono anche momenti in cui il “dedito” si abnega (è naturale); ma questa abnegazione lo fa sentire ancor più realizzato, come un gran prezzo speso per una pe...