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Il patto con Melusina e altre questioni (in)attuali

Spesso, mi capita di discorrere con un mio caro amico, decisamente più conservatore di me, di questioni come la concezione della famiglia, il rapporto fra individuo e comunità, il ruolo femminile nella cura dei figli. Quello che lui dice –almeno in parte- è abbastanza autoevidente. Ovvero: i rapporti all’interno della famiglia dovrebbero essere all’insegna della condivisione; l’individuo come entità assoluta non esiste, perché ognuno di noi vive in un contesto socioeconomico che contribuisce a plasmare anche le nostre convinzioni e a condizionare i nostri comportamenti; le donne tendono –in linea di massima- ad avere un rapporto più diretto coi figli e un’inclinazione maggiore alla cura dei propri cari. Io, come Lucia Mondella nella conclusione de I promessi sposi, non trovo che i discorsi del “mio moralista” siano falsi in sé, ma avverto che manca qualcosa. L’amico di cui sopra, ovviamente, liquida la mia miscredenza come frutto dell’individualismo moderno e cita “il modello di famiglia scandinavo”, “l’emancipazione a tutti i costi”, il “femminismo” e altre tiritere alle quali io neppure mi sogno di fare riferimento. Piuttosto, la natura delle mie perplessità è espressa da storie ben più arcaiche.
            Una è quella della fata Melusina, leggendaria antenata dei signori di Lusignano. Ella avrebbe sposato Reymund, per l’appunto il signore di Lusignano, offrendo a lui e alla sua discendenza onori e fortune. Al marito, però, avrebbe posto una condizione: ogni sabato, egli non avrebbe dovuto cercar di contattarla, o informarsi su di lei. Violando questo patto, la protezione della fata avrebbe abbandonato il casato. Spinto da voci maligne, Reymund non mantenne la parola, avendo poi di che pentirsene amaramente.
Ecco quello che cerco di dire al “mio moralista”: per quanto possano essere saldi o affiatati un matrimonio, una famiglia, una comunità, ciascuno dei suoi membri ha pur bisogno d’uno spazio d’autonomia per sé, come quello che richiede Melusina. Uno spazio magari modesto, ma vitale, la cui violazione renderebbe insostenibile il legame. La continua ingerenza dei genitori nella vita intima o nelle scelte etiche dei figli adulti non favorirebbe certo l’armonia familiare, tanto per fare un esempio. Lo stesso dicasi degli occhi pettegoli d’una “piccola città” puntati sugli aspetti più delicati d’una persona, o della possessività d’un coniuge nei confronti dell’altro. Non si tratta di affermare un Ego assoluto, ma –banalmente- di poter respirare. Melusina, che richiede la propria riservatezza, non pretende con questo di danneggiare il marito o trascurare i figli. Citando un arcinoto aforisma: una rosa rossa non è egoista perché vuole essere una rosa rossa. Sarebbe terribilmente egoista se volesse che tutti i fiori del giardino fossero rossi e fossero rose.

Sempre restando nell’ambito “donne e famiglia”, ricordare ai maschietti che farebbero meglio a essere più presenti in casa non vuol dire pubblicizzare un modello di donna amazzone o egocentrica. Significa riecheggiare la favola del cavallo e dell’asino, che io ho appreso per “tradizione orale”. Un asino, sfinito dal carico, domanda al cavallo la grazia di prendersene sul dorso una piccola parte. Il cavallo si rifiuta. Avviene così che l’asino muoia d’affaticamento lungo la strada. Al cavallo, perciò, tocca gravarsi di tutto il peso. In altre parole: la collaborazione fra coniugi tanto nella sfera domestica quanto nel lavoro retribuito non è una “sovversione dell’ordine naturale”. È un’ovvia necessità, nei ritmi stressanti di oggi. Condividere il carico è dimezzarne il peso. Fa anche sì che nessun membro della famiglia debba rinunciare integralmente ai propri interessi, alla propria formazione culturale e alla propria vocazione professionale –cose che sono preziose sia per gli uomini che per le donne, mi spiace dirvelo, cari tradizionalisti/anti-individualisti/ricchi-premi-e-cotillons. Per quanto possiate far propaganda, non ridurrete mai la natura dell’essere umano a quella di una termite o d’una formica, che vivono solo ed esclusivamente come anonimi ingranaggi d’un organismo collettivo. Con gli altri esseri umani, bene o male, bisogna confrontarsi e venire a patti, come il signore di Lusignano con Melusina. Questa sì è una “legge di natura”. Ma il mio “Renzo”, in realtà, lo sa già.

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