Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da ottobre, 2015

Belle e pericolose

Una fanciulla virtuosa, di stilnovistica memoria, trepida per il suo bel cavaliere lontano. Manco a dirlo, la sua reazione è pregare: sotto una quercia, in una notte spettrale. Tipico quadretto dell’immaginario romantico di Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), con cui comincia la sua Christabel (1797-1800): poemetto narrativo mai terminato, di cui esistono solo le prime due parti. Esse raccontano, per l’appunto, della giovane ed angelica Christabel, figlia di un castellano. Una notte – mentre sta pregando sotto la quercia, appunto – incontra la sua coetanea Geraldine, come lei nobile e affascinante. Questa le racconta di essere stata rapita da una masnada e abbandonata momentaneamente nel bosco. La buona Christabel, naturalmente, le offre ospitalità e sicurezza nel castello paterno. All’arrivo di Geraldine, si verifica ogni sorta di segno soprannaturale e di malaugurio – compresa un’apparente reazione isterica della straniera, davanti alla benedetta memoria della madre di Christabel

Fa' del bene e lascia dire

“Un maestro zen vide uno scorpione annegare e decise di tirarlo fuori dall’acqua. Quando lo fece, lo scorpione lo punse. Per l’effetto del dolore, il padrone lasciò l’animale che di nuovo cadde nell’acqua in procinto di annegare. Il maestro tentò di tirarlo fuori nuovamente e l’animale lo punse ancora. Un giovane discepolo che era lì gli si avvicinò e gli disse: «Mi scusi, maestro, ma perché continuate??? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua vi punge?» Il maestro rispose: «La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare». Il maestro rifletté e, con l’aiuto di una foglia, tirò fuori lo scorpione dall’acqua e gli salvò la vita; poi, rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò: «Non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa del male, prendi solo delle precauzioni. Perché gli uomini sono quasi sempre ingrati del beneficio che gli stai facendo. Ma questo non è un motivo per smettere di fare del bene, di abbandonare l’amo

Schegge di luce

Dal 10 al 12 ottobre 2015, la Sala Mostre del Municipio di Manerbio è rimasta aperta a chi volesse gustare una piccola scelta di scatti fotografici. L’iniziativa era a cura del Fotoclub Manerbio, detto anche Gruppo Fotografico Manerbio. «È un modo per incuriosire la gente, ormai abituata alle fotocamere digitali» ha spiegato Damiano Putignano, il presidente dell’associazione.             La diffusione capillare della tecnologia digitale ha infatti trasformato lo scatto in un’abitudine, un modo per fissare momenti in modo anche distratto o compulsivo. Altra cosa è l’arte della fotografia per gli appassionati e gli intenditori. L’immagine fissata su pellicola o in una scheda di memoria è una realtà altra rispetto a quella che si ha davanti agli occhi. Lo è anche senza l’uso di modifiche particolari. L’obiettivo ferma, ritaglia; registra riflessi, giochi d’ombre, posizioni che entrano a far parte dell’oggetto rappresentato. Una minima variazione della luce rende irripetibile un quadro.

Una Manerbio da favola

Passeggiare tra gli idoli dell’infanzia, per una sera: questa l’idea alla base della Notte delle Fiabe. Il 26 settembre 2015, a partire dalle ore 20:00, le strade di Manerbio si sono convertite in un susseguirsi di “stand delle meraviglie” – senza pretese e con tanta creatività. Quattro esercizi di ristorazione hanno offerto i “Menu Bimbo”, puntando su sapori basici e prezzi contenutissimi.              In piazza Bianchi, il Circolo Ippico “S. Clemente” offriva ai più piccoli la possibilità di cavalcare un pony. In via San Martino, i volontari del Pedibus comunale presentavano i giochi che sarebbero stati proposti durante le fermate. Più avanti, gli Amici Biblioteca di Manerbio leggevano ad alta voce classici per l’infanzia, con tanto di villaggio indiano in cartoncino e Pippi Calzelunghe vivente. L’ I.I.S. “B. Pascal” ha inviato due allievi a spiegare le “semplici meraviglie” della fisica. I bimbi hanno anche potuto cimentarsi con piccole operazioni di robotica, insieme all’ASD

300 anni di devozione

La pieve di Manerbio compie trecento anni. Nel 1715, fu posta la sua prima pietra. Per festeggiare il compleanno, sono state organizzate visite guidate al Museo Civico e alla chiesa parrocchiale, oltre a conferenze. Il 9 ottobre 2015, il Teatro Civico “M. Bortolozzi” ha ascoltato gli interventi dell’ing. Sandro Guerrini e di don Livio Rota, docente di Storia della Chiesa presso il seminario di Brescia. Le loro competenze hanno permesso di approfondire l’aspetto artistico della pieve “S. Lorenzo Martire” e le motivazioni storiche della sua estetica. Moderava Umberto Scotuzzi, alla presenza del parroco don Tino Clementi.              L’ing. Guerrini ha esposto una serie di problematiche ancora aperte. “S. Lorenzo” sarebbe un’intitolazione atipica per una chiesa parrocchiale, pensabile più come nome di una diaconia. Un’ipotesi è che la pieve manerbiese fosse, inizialmente, dedicata all’Assunta. La chiesa parrocchiale manerbiese si inserisce in una serie di luoghi sacri di gusto ba

Un evento di passione

L’11 ottobre 2015, mentre Manerbio festeggiava la Madonna del Rosario fra preghiere e giostre, alcuni cartelli invitavano a una mostra di pittura. Si teneva nel cortile del circolo ACLI ed era curata da un gruppo dal nome decisamente suggestivo: “Eventi di passione”.              Erano gli allievi della scuola di disegno compresa nella LUM, la Libera Università di Manerbio. Perlopiù maturi, con lavoro e famiglia, ma accomunati dal gratuito amore per matita e pennello. I loro corsi sono tenuti da Martino Pini, ex-insegnante di scuola media. Ogni estate, i suoi allievi si radunano informalmente al Teatro Civico. I corsi sono composti da due tronconi da dieci incontri l’uno. La sede delle lezioni è proprio la scuola media locale. Per una modesta quota d’iscrizione, si può imparare a padroneggiare la tecnica favorita. «Fra noi, qualcuno non sapeva nemmeno tenere una matita in mano, all’inizio» ha ricordato un allievo. A giudicare da questo, la competenza del  prof. Pini e la passione

Quale futuro per il nostro ospedale?

L’11 agosto 2015, è stata approvata la legge regionale 23/2015: “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo: modifiche al Titolo I e al Titolo II della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)”. La questione è di particolare interesse per Manerbio, in quanto sede di un ramo dell’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda. Per iniziativa dell’assessore Fabrizio Bosio, il locale circolo PD “Lorenzo Manfredini” ha dedicato alla riforma la serata del 30 settembre 2015. Nella Sala Mostre del Palazzo Comunale, Bosio ha interrogato il sindaco Samuele Alghisi (anche membro del Direttivo Provinciale ASL), Franco Berardi (Segretario Provinciale CISL) e Gian Antonio Girelli (consigliere regionale della Commissione Sanità lombarda).              L’incontro è stato aperto da Berardi, che ha illustrato i punti principali della l.r. 23/2015. Essa riguarda, principalmente: i rapporti fra sanità pubblica e privata; l’articolazione delle

La Manerbio dei bambini

L’11 ottobre 2015, la fontana che si apriva nel Piazzolo di Manerbio ha ufficialmente mutato natura. Fino a quel momento, il suo pregio principale era stato quello di alimentare l’umorismo cittadino. Una volta asciugatasi, era diventata una sorta di piscina asciutta per i bambini che amavano giocarci, dopo una consumazione alla gelateria di fronte. Perciò, proprio i piccoli sono stati chiamati a partecipare, con un lancio di palloncini, alla sua nuova vita di aiola pubblica.              Il sindaco Samuele Alghisi ha presentato questa piccola opera come antipasto di una riqualificazione del centro. Via XX Settembre, col suo Piazzolo, è infatti uno dei tratti più frequentati di Manerbio, per via di negozi e bar che vi si affacciano. Continua così una tendenza inaugurata nell’antichità, quando i Galli (395 a.C.) scelsero – come centro residenziale – il pianoro oggi distinto in “Scià  olt” e “Scià bas”.             Iniziativa più sostanziosa è stata quella inaugurata successivamen

La vergine di ferro - II, 6

Parte II: Il Cigno Bianco e il Cigno Nero 6. Il dottor Matteo Sacchi sistemò il dischetto nel piattino del lettore e fissò lo schermo. Le immagini filmate dalla telecamera di sicurezza gli restituirono una figura bianca come uno spettro, che si trascinava sul pavimento della camera mortuaria del Policlinico S. Matteo. La figura barcollava, si fermava, barcollava ancora e, infine, si accasciava. Non gli fu difficile notarne la somiglianza con la “salma” della giovane Nilde Ario, della quale si era occupato personalmente.              D’un tratto, il video gli mostrò una scena decisamente più interessante. La porta della camera si spalancava – evidentemente, forzata in malo modo, come era stata trovata alla mattina – e un ragazzo slanciato si profilava sulla soglia. Lui entrava e raccoglieva il fantasma fra le braccia. Il dottor Sacchi benedisse la nitidezza delle immagini. Quel volto era scoperto, come se stesse andando a commettere l’azione più innocente del mondo. E,

Esame di fede

Nel quadrato si fece un varco della larghezza di un metro e ai suoi due lati si posero l’omino panciuto e Filippo il Bello. Proprio come fanno i pastori negli stazzi, per la mungitura delle pecore. Così cominciò l’esame. Il primo a essere chiamato fu proprio Teofilo il sacrestano. «Chi evviva?» gli domandò bruscamente l’omino con la fascia tricolore. Teofilo sembrò cadere dalle nuvole. «Chi evviva?» ripeté irritato il rappresentante delle autorità. Teofilo girò il volto spaurito verso di noi, come per avere un suggerimento, ma ognuno di noi ne sapeva quanto lui. E siccome il poveraccio continuava a dar segni di non saper rispondere, l’omino si rivolse a Filippo il Bello che aveva un gran registro tra le mani e gli ordinò:             «Scrivi accanto al suo nome: “qualunquista, probabilmente criptofascista”.» Teofilo se ne andò assai costernato. Il secondo a essere chiamato fu Anacleto il sartore. «Chi evviva?» gli domandò il panciuto. Anacleto che aveva avuto il

La prima volta, ovvero Almeno qui si può ridere

Attendo in fila, sventolando il mio bravo foglio compilato con la lista di tutti i possibili e immaginabili quesiti legati al mio sangue (liscio o effervescente? Con ghiaccio o senza?). Con me, ci sono tre uomini e una ragazza che si è fatta accompagnare da un’amica. Per il momento, sono abbastanza distesa. Ma qualcosa già mi dice che, presto, mostrerò la stessa scioltezza di Jonathan Harker nel castello di Dracula.              «È la prima volta?» mi domanda un’infermiera. Confermo. «Allora, aspetti. E si beva un succo di frutta». Mi rifornisco al bendidio apparecchiato nell’altra metà della stanza.             Il primo assaggio dell’esperienza è un forellino su un polpastrello. L’amica dell’altra ragazza è particolarmente poco entusiasta dello spettacolo. A dirla tutta, non lo sono nemmeno io. Comunque, l’operazioncina è velocissima e pulita.             Arriva il mio turno. «Braccio destro o sinistro?» Opto per il sinistro. Così – sussurra il mio Coniglio Interiore –

Orgoglio e pregiudizio, ovvero The Nightmare Before Christmas

Quando si parla di “pregiudizi”, si pensa al classico paesello di comari spettegolanti, incapaci di rinunciare alle idee cui sono affezionate da sempre. Ma ad abbattere quel genere di pregiudizi ci vuol poco, se si ha meno di trent’anni, si hanno interessi culturali e si vive nell’era del villaggio globale.             Ben più difficile è liberarsi dai preconcetti elaborati durante gli studi universitari: la convinzione di essere destinati a un futuro eletto, di vedere più lontano rispetto a quei “bifolchi” che ci hanno cresciuto… di avere qualcosa da insegnare al “volgo profano”. I libri, i professori e gli amici fanno spesso di tutto per costruire intorno a questi pregiudizi una cattedrale difensiva: parole, parole e ancora parole, inanellate fra loro in modo da sembrare indistruttibili. Come testimoniano le leggende su Mago Merlino, le prigioni peggiori sono quelle d’aria.              Forse, la depressione post lauream e il periodo d’inoccupazione forzata sono una forma di

Misticismo cristiano e buddhista

Daisetz Teitaro Suzuki (1870 – 1966) fu professore di filosofia buddhista all’Università Otani di Kyoto ed è ricordato come l’esponente contemporaneo più autorevole del Buddhismo Zen. I suoi libri sono praticamente una lettura obbligata per chiunque s’interessi di mistica, anche cristiana. Per l’appunto, il testo di cui tratteremo s’intitola Misticismo cristiano e buddhista (Roma 1971, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore). È la traduzione italiana, a cura di M. Leoni, di: Misticism: Christian and Buddhist (New York 1957, Harper & Brothers).              È la vicenda di un “incontro impossibile”, quello fra Oriente e Occidente. Al giapponese Suzuki, le forme di spiritualità cristiane sembrano ripugnanti e irrazionali, a partire dal crocifisso, così lontano dalla serenità del Buddha. «In Occidente l’io individuale asserisce con forza se stesso. In Oriente non vi è io, è inesistente, e quindi non vi è io da crocifiggere» (p. 101); «In un certo senso la mente orientale no

La vergine di ferro - II, 5

Parte II: Il Cigno Bianco e il Cigno Nero 5. Mentre Nilde e Amedeo superavano la sottile linea d’ombra dell’amicizia, Isabella era insonne. La sua finestra era aperta e guardava sul condominio che ospitava, al pianterreno, l’appartamento di Amedeo. Le sembrava che, in una delle sue stanze, la luce fosse ancora accesa. “Starà studiando” si disse. Ma non era in sessione d’esame.              Lo immaginò, allora, insonne come lei. Sul suo letto perennemente sfatto, si affollavano manuali per la lettura dei tarocchi, romanzi fantasy, libri di preghiere d’ogni religione. Ovunque, campeggiavano i suoi coloratissimi dipinti ad acrilico, ispirati alle vetrate delle chiese. Sulla parete di fronte al letto, campeggiava la locandina di un teatro, con un vecchio annuncio de Il lago dei cigni. Il Cigno Bianco Odette danzava sulla carta, perennemente fissato nella propria posa aerea. Isabella si immaginò danzare come lei, sulla superficie di un lago cristallino, intriso di una ma