Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da febbraio, 2016

Arriva il seguito de "La vergine di ferro": "La nipote del diavolo"

Se non avete ancora letto La vergine di ferro , vi dissuado dall'imbarcarvi in questa nuova serie. Se l'avete letto (e amato), invece, è il vostro momento. Le vicende di Nilde Ario hanno lasciato molti punti di domanda. Ne La nipote del diavolo , essi troveranno risposta. E chissà... Intanto, cominciamo proprio dai Fili pendenti. Parte I: Fili pendenti 1. Il ragazzo appoggiò la schiena a quella colonna dal fusto liscio e si lasciò lambire dall’ombra. Guardò l’orologio da polso. Non sarebbe mancato molto alla fine delle lezioni mattutine. Fissò il vano delle scalinate e le bacheche di sughero, sature di offerte di stanze in affitto e di locandine sgargianti. Inghiottì un leggero senso di tensione.              Finalmente, le vecchissime porte in legno delle aule cominciarono a schiudersi. Ragazze con sciarpette colorate al collo, ragazzi in jeans, figurini in camicia o in sobrie gonne a tubino riempirono il chiostro della facoltà di Lettere, senza far cas

La menzogna

Oggi, in mezzo a un discorso pieno di cose belle e vere, ho rinvenuto una menzogna. Si parlava di Dante Alighieri, del suo Paradiso Terrestre e della visione del matrimonio come compimento della natura umana. La menzogna era questa: chi, oggi, è coinvolto nei dibattiti sulla famiglia, probabilmente non ha mai letto una riga di tutto questo. Pensa al proprio orticello, senza aprirsi a un pensiero verticale.              Il fatto è che quel “pensiero verticale”, in realtà, è ancora decisamente “pop”, in Italia. Non foss’altro che per le ore di religione e di “Divina Commedia” che sono irrinunciabili nelle scuole, tanto pubbliche quanto parificate.             Di quel “pensiero verticale” mi sono pasciuta io stessa per più di vent’anni, perché decisamente più affascinante - nel suo nitore - di quel groviglio tentacolare che è la realtà orizzontale. E qui assume senso l’affermazione di Alessandro Baricco : il libro segnala sempre la presenza di un vigliacco. Lungi dall’ “aprire g

L'esteta

“Il mio estetismo è inscindibile dalla mia cultura. Perché mancare la mia cultura di un suo elemento anche se spurio, magari, e superfluo? Esso completa un tutto: e non ho scrupoli a dirlo perché proprio in questi ultimi anni mi son convinto che la povertà e l’arretratezza non sono affatto il male peggiore. Su questo ci eravamo tutti sbagliati. Le cose moderne introdotte dal capitalismo nello Yemen, oltre ad aver reso gli yemeniti fisicamente dei pagliacci, li hanno resi anche molto più infelici. L’Imam (il re cacciato) era orrendo, ma il consumismo micragnoso che l’ha sostituito non lo è di meno.              Ciò mi dà il diritto a non vergognarmi del mio «sentimento del bello». Un uomo di cultura, caro il mio Gennariello, non può essere che estremamente anticipato o estremamente ritardato (o magari tutte e due le cose insieme, com’è il mio caso). Quindi è lui che va ascoltato: perché nella sua attualità, nel suo farsi immediato, cioè nel suo presente, la realtà non possiede che

Realismo

“Vedi, Gennariello, la maggioranza degli intellettuali laici e democratici italiani si danno grandi arie perché si sentono virilmente «dentro» la storia: accettano realisticamente il suo trasformare la realtà e gli uomini, del tutto convinti che questa «accettazione realistica» sia frutto dell’uso della ragione.             Io no, invece, Gennariello. Ricorda che io, tuo maestro, non credo in questa storia e in questo progresso. Non è vero che comunque , si vada avanti. Assai spesso sia l’individuo che la società regrediscono o peggiorano. In tal caso la trasformazione non deve essere accettata: la sua «accettazione realistica» è in realtà una colpevole manovra per tranquillizzare la propria coscienza e tirare avanti. È cioè il contrario di un ragionamento, anche se spesso, linguisticamente, ha l’aria di un ragionamento.             La regressione e il peggioramento non vanno accettati: magari con indignazione o con rabbia, che, contrariamente all’apparenza, sono, nel caso spec

Tolleranza

“La tolleranza, sappilo, è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una «tolleranza reale» sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si «tolleri» qualcuno è lo stesso che lo si «condanni». La tolleranza è anzi una forma di condanna più raffinata. Infatti al «tollerato» […] si dice di far quello che vuole, che egli ha il pieno diritto di seguire la propria natura, che il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità eccetera eccetera.  Ma la sua «diversità» - o meglio, la sua «colpa di essere diverso» - resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerarla, sia davanti a chi abbia deciso di condannarla. Nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria coscienza il sentimento della «diversità» delle minoranze. L’avrà sempre, eternamente, fatalmente presente. Quindi - certo - il negro potrà essere negro, cioè potrà vivere liberamente la propria diversità, anche fuori - certo - dal

Maria Maria

"Meglio sarebbe stato Risalire in fretta il fianco scosceso della montagna Poi stenderci al sole e Con un lento gesto della mano Dirci addio. Oh la Sicilia La Sicilia era in tutti i miei sogni di ragazzo Sedotto da tutte le ragioni Per le quali molti volevano fuggire Ammaliato dalle lente cantilene Dei venditori di meusa Dallo sguardo malizioso Delle Marie dagli occhi neri Dai fuochi di sterpi Che spandevano miriadi di scintille Nella velata oscurità delle notti. Stregato dal profumo delle zagare sfavillanti Dal gemito di libecci incandescenti Dal querulo lamento di una terra che crepitava Sotto  il solleone di un’estate madre E matrigna. Ho amato il gemito Il tormento L’imperio  disperato Risolto nel guizzo di una lama O nel riso di scherno di un ragazzo scalzo. Eri tu nel ricordo di quelle notti L’icona Il fulgore di quel tempo In cui ancora mentivamo Solo per amore E fuggivamo Per non udire il canto de

Chorouk, l'Islam di Manerbio

Si è favoleggiato a lungo della “moschea di Manerbio”. È la sala polifunzionale dell’Associazione Chorouk: parola che rimanda all’alba e a qualcosa che vuol nascere, crescere.             La fondazione ufficiale risale al 14 maggio 2014, ma un nucleo di volontari esisteva già nel 2013. Si trattava di musulmani residenti a Manerbio, desiderosi di creare un luogo di preghiera, incontro e volontariato. La sede è al pianoterra del condominio di via San Martino. Se ne occupa il custode Lhassan Boutaleb, uomo “di gran cuore”, secondo il presidente Allal Martaj e il vicepresidente Driss Fouiteh.  Il vicepresidente dell'Associazione Chorouk, Driss Fouiteh.             La sala è dotata di tappeti, quando è ora di preghiera. Ma essi lasciano il posto ai banchi, al momento delle lezioni di lingua araba. Esse sono proposte sia agli italiani, sia ai figli dei musulmani che intendono mantenere la propria cultura. Gli alunni di età inferiore ai 10 anni possono seguire questi corsi press

Il Generale Inverno: storia, bufala, letteratura

Il 28 gennaio 2016, la Libera Università di Manerbio è giunta al termine dei corsi per questo mese. In accordo con il filo conduttore, il prof. Daniele Montanari (Università Cattolica di Brescia) ha portato al Teatro Civico “Memo Bortolozzi” una conferenza sul Generale Inverno.              La vulgata vuole che il terribile inverno russo abbia sconfitto Napoleone nelle terre dello zar (1812) e che il generale Kutuzov abbia fatto incendiare Mosca, per privare il nemico di alloggi e rifornimenti. Questa versione dei fatti è stata indicata dal prof. Montanari come “una bufala”. Ha poi proceduto a illustrare lo svolgimento degli eventi, sotto il titolo “Si vis pacem, para bellum”. Dai ricordi letterari è cominciata la ricostruzione della figura di Napoleone.             “La Certosa di Parma”, di Stendhal (1839), mostra il giovane generale durante la campagna d’Italia, nel 1796. L’atmosfera è festante e ottimista. Napoleone si rivela in grado di sconfiggere i regni d’Antico Regime.

Il fascino del Nord alla LUM

Paesaggi romantici per eccellenza, le bellezze della Penisola Scandinava affascinarono anche il poeta Vittorio Alfieri (1749 - 1803). La professoressa Margherita Sommese le ha raccontate alla Libera Università di Manerbio. Questa, il 14 gennaio 2016, nel Teatro Civico “Memo Bortolozzi”, è stata la prima di due conferenze sul “Fascino del Nord”: “Dalle pianure della Danimarca alle alte vette dei fiordi norvegesi”.              La Danimarca è una monarchia parlamentare ed è compresa nell’Unione Europea, benché non abbia adottato l’euro. Il suo nome deriva dai Dani, popolazione che si stabilì sulla penisola dello Jutland all’inizio dell’VIII sec. d.C. Essi - ha spiegato la prof.ssa  Sommese - si costituirono in una “marca”, ossia una regione di frontiera: da cui Dani-marca, “la marca dei Dani”. Qui, giunsero anche i Vichinghi, ottimi navigatori che scoprirono l’Islanda e approdarono in Terranova.             Al 965 d.C. risalgono le pietre di Jelling, con iscrizioni runiche (ovver

La via del cuore

È uscita la breve raccolta poetica "La via del cuore" , a opera del giornalista e cantante Diego Baruffi. I suoi versi hanno qualcosa delle canzoni pop, la stessa immediatezza di linguaggio e sentimenti. E sono state presentate alla cittadinanza il 23 gennaio 2016, al Politeama di Manerbio.              Ad aprire la serata è stata la prima poesia, dedicata all’amore per la moglie Alessandra e il figlioletto Francesco. Dopodiché, Diego Baruffi ha scatenato il suo fiume di musica. Nel repertorio - per l’occasione - è stato protagonista Massimo Ranieri, con “Vent’anni” (1970), “Erba di casa mia” (1972), “Se bruciasse la città” (1970), “Perdere l’amore” (1988). Altro ospite ideale è stato Adriano Celentano, di cui Baruffi ha reinterpretato brani come “L’emozione non ha voce” (1999) e “Ti avrò” (1978). Un angolo per i Pooh è stato occupato da “Tanta voglia di lei” (1971).              “L’istrione” (1970) di Charles Aznavour sembrava quasi essere su misura per Diego, l’uo

Nello scrigno della creazione

Ha un profumo raffinato e greve, all’ingresso, il laboratorio di Gian Maria Donini . Insieme alla fragranza per l’ambiente, anche l’arredamento dell’anticamera parla di una persona fantasiosa e creativa - in particolar modo, i dipinti riferiti all’India.  Donini ha imparato da autodidatta a lavorare i metalli. Si definisce “orafo-artefice”, come informa la voce a lui dedicata nel “Dizionario del gioiello italiano del XIX e XX secolo”, a cura di Lia Lenti e Maria Cristina Bergesio (edito da Umberto Allemandi & C.). “Ideare, disegnare e realizzare gioielli è la sua ragione di vita, perché è così che Gian Maria Donini comunica con il mondo”, informa la stessa fonte. Il suo laboratorio è colmo di riproduzioni di gioielli antichi e di lussureggianti, immaginose creazioni, ispirate alla natura e alle fiabe. L’orafo si ispira anche a Fulco di Verdura (1899 - 1978), noto per l’amicizia con Coco Chanel e per la collaborazione alle scenografie de “Il Gattopardo” di L. Visconti. L' &

La Bella, la Bestia e il dottor Balanzone

Il tempo piovoso ha fatto sfumare l’abituale Carnevale festeggiato in piazza, davanti al Municipio. Ma non ha potuto (per fortuna) cancellare il grazioso spettacolo preannunciato al Politeama per il 9 febbraio 2016. L’organizzazione era ad opera dell’Oratorio “S. Filippo Neri”, del Comune di Manerbio e dell’Associazione Amici della Biblioteca. Il soggetto era “La Bella e la Bestia”, inscenato dalla compagnia “Il Nodo Teatro”.              Bella è l’ultima delle proprie sorelle a essere rimasta in casa del padre; ancora giovane, ai potenziali mariti preferisce i libri di botanica. Ha già coltivato ogni sorta di fiori e, ora, gliene rimane uno solo da desiderare: “la rosa nera, che cresce nel Paese degli Urogalli”. Per il padre, ex-mercante in preda alla noia, è un’occasione per cercare nuove avventure. Peccato che l’età si faccia sentire e che, anziché nel Paese degli Urogalli, approdi proprio dietro casa, dove abita il dottor Miracolo: l’insegnante di botanica di Bella, che cerca

Ecce homo

Un binario di ferrovia. Fra le traversine, enormi volti umani: bambini, donne, guance barbute, per finire con un feto. E uno specchio che perpetua quel cammino fatale.             Questo era “Ecce homo”, l’installazione artistica esposta sotto il portico del Municipio dal 24 al 31 gennaio 2016. È stata realizzata in occasione della Giornata della Memoria, dagli artisti bresciani Luciano Baiguera e Cristina Brognoli. La didascalia che accoglieva i visitatori informava che si trattava del secondo anno consecutivo che i suddetti esponevano il proprio lavoro a Manerbio, in collaborazione con l’ANPI e col patrocinio del Comune.              La descrizione di una composizione tanto insolita così era riassunta: “Volti calpestati composti in una sorta di linea ferroviaria a simboleggiare il viaggio senza ritorno di un intero popolo. Non è il visitatore che va all’opera ma l’opera che entra nel quotidiano.” Pochi versi lapidari corredavano l’installazione: “VOLTI SEPOLTI IN UN VIAGGIO