"Sheila dormiva.
Un silenzio ovattato e instupidito regnava in tutta la stanza, mentre una
miriade di fiocchi pioveva pigra sulla città sonnolenta, risucchiando ogni suono
e rumore. Solo di quando in quando, il lontano rintocco di una campana o lo
schiamazzare di alcuni ragazzini restituivano a quell’universo surreale la
parvenza di una sotterranea quotidianità.
Nonostante la calda trapunta che l’avvolgeva, arrivando quasi a nasconderle
il viso, Sheila fu gradualmente ma perfidamente destata dall’accecante trama
luminosa che i candidi muri domestici e la neve, come congiurati, le avevano a
poco a poco ordito attorno. Le nebbie di un sonno profondo e oscuro si
stemperarono in un torpore diffuso, mentre ella si stiracchiava pigramente
sotto le coperte.
Che ora poteva essere? A giudicare dalla luce sfacciata che irrompeva
attraverso le finestre (come mai non aveva abbassato le tapparelle?), doveva
essere giorno inoltrato.
Le sembrava di aver dormito una vita intera, eppure si rendeva conto che
nemmeno due vite le sarebbero bastate per scrollarsi di dosso quella tremenda
stanchezza. Sentiva le membra pesanti e avvertiva un impercettibile ma persistente
dolore in un punto del capo, come se un sottilissimo trapano continuasse
pervicacemente a penetrarvi. Con una smorfia di fastidio si voltò dall’altra
parte.
In quella frazione di secondo, nonostante le palpebre ancora grevi e
cispose, se ne accorse. Di fronte a lei stava l’ampia e soffice poltrona
prelevata anni prima dalla casa della defunta madre, e su di essa stava seduto
qualcuno. Riuscì vagamente a distinguere una camicia bianca sbottonata sul
collo e un paio di jeans attillati che modellavano un fisico snello ma robusto.
Risalendo la figura, le parve di notare le labbra schiuse in un sorriso, la
dentatura eburnea resa ancora più vivida dal bagliore del giorno, simile a una
fulgida e preziosa collana di perle…il sorriso del suo Mark.
Sheila glielo restituì, inconsciamente. Lo cullava con lo sguardo,
osservando come la camicia, che lei stessa gli aveva regalato per l’ultimo
compleanno, lo facesse quasi risplendere di luce propria. Il sorriso di Mark… ricordava
ancora il primo che le aveva rivolto un piovoso mattino di sei mesi prima, dopo
averla aiutata a raccattare la spesa, scivolatale fuori dalla borsa. Era un
sorriso destinato a colpire a prima vista: spavaldo ma gentile. Un sorriso che
piace.
Sì, fu quello che la fece innamorare di lui. E Mark lo sapeva. Per questo
si era ripromesso, un po’ scherzosamente, di dedicare a lei e a lei sola quella
sfumatura di sorriso che le rivolse al loro primo incontro, dove le belle
labbra dischiuse, ma non eccessivamente, si armonizzavano così delicatamente
con le curve degli occhi azzurri spalancati su di lei. In quella magica
combinazione di tratti, ella poteva veder riflesso l’avvenire estasiante che,
da inguaribile romantica qual era, s’era sempre immaginata. Lo adorava, lo adorava
follemente, e non c’era stato momento in cui non avesse voluto dimostrarglielo,
lei, timida e solitaria ragazza che solo ora scopriva quanta energia e passione
potesse sgorgare dal suo cuore.
Eppure, anche in quegli istanti di dolce e nebulosa spossatezza, in cui
contemplava tra le fessure degli occhi il viso dell’amato, le parve di trovarvi
un nonsoché di strano… Non sapevo spiegarsi cosa fosse, eppure l’insolita impressione
cresceva e la inquietava. Una stranezza che in fondo si era trovata davanti
tutti i giorni felici della loro storia, ma che era stata sempre capace di
ignorare e solo ora si tingeva di una sfumatura fosca…
Grazie a quella sensazione, ecco che la sua mente stanca cominciò ad
assemblare di nuovo alcuni ricordi frammentari, non più antichi della sera
prima, quando Mark era rientrato dopo una rimpatriata con vecchi amici
portandosi addosso un alone di profumo femminile completamente ignoto. Allora, qualcosa in lei prese ad incrinarsi. Non
le bastavano le spiegazioni fintamente scherzose che si ingegnava di sciorinarle.
E nel momento in cui, quasi come un disperato tentativo di salvare la
situazione, egli le parò dinnanzi quello stesso travolgente sorriso, Sheila
capì.
Capì cosa si celava dietro quei bianchi denti orgogliosamente esposti come
trofei.
Il gelo.
Il gelo brillante e seducente che attira a sé e uccide senza rendersene
conto. il gelo che stordiva e incantava quelle come lei, timide e solitarie,
per poi abbandonarle alle loro infrante illusioni.
Allora, si rese conto che la stessa energia e passione che aveva
sperimentato nell’amare poteva rivelare un altro lato, nascosto e altrettanto
dirompente…
Da quel momento, i ricordi tornavano a farsi confusi… di quanto era accaduto
restavano poche immagini: la propria voce che, dopo aver sbraitato, perdeva di colpo
intensità fino a spegnersi e le mani che si muovevano di una volontà propria…
che stringevano sempre più il collo di Mark, sempre più, ma non prima che
costui tentasse di difendersi un’ultima volta…ed infine, Mark che si accasciava
sulla poltrona, il sorriso ancora stampato indelebilmente sul volto… il sorriso
del suo Mark… amato… e ancora le pareva di amarlo…
Il dolore alla testa seguitava a imperversare… sentiva che le sarebbe
mancata la forza di mettere anche solo un piede fuori dal letto. C’erano così
tante cose da fare…sbarazzarsi del corpo, nascondere le tracce… Ma non ancora,
non ancora… con una fatica estrema, si trascinò fuori dal letto, abbassò le
tapparelle e si rituffò vogliosa sotto le coltri…
Desiderava solo dormire…
dormire…
dormire…"
MAURO FRANZINI
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