Cominciare
una nuova vita è un po’ come morire –e viceversa. Se ne rendono conto Adam
(Alec Baldwin) e Barbara Maitland (Geena Davis), novelli sposi e, ben presto,
novelli defunti. Beetlejuice (1988;
regia di Tim Burton) inscena un “colpo di destino” molto sardonico: la vita dei
giovani coniugi si trova appesa a un filo, o, meglio, a un pelo di cane, tanto
precario da sembrare calcolatissimo. Comunque, non si nota alcun distacco tra
“aldiquà” e “aldilà”. Gli sposini passano dalla vita terrena a quella spettrale
senza apparente attrito, forse anche per via della sorpresa e dello shock. Non
hanno avuto tempo di rendersi conto di cosa fosse la morte e, a dire la verità,
non l’avevano mai considerata nelle sue dimensioni. Dovranno conoscerla passo
dopo passo, rendendosi conto che la loro familiare casetta è diventata un posto
ignoto, dove le fiamme del caminetto non bruciano più, ma una semplice porta
conduce in mondi deserti e ostili. Davanti alla morte, ogni uomo è tanto
sprovveduto da aver bisogno d’un elementare manuale. Per il resto, occorrono un
po’ di pragmatismo e di iniziativa, come quando si affronta la vita.
Esattamente come nell’esistenza terrena, è tutto molto personale. Ognuno nasce e muore, ma ciò che succede dopo
questi due eventi naturali e universali è tutto da decidere. E permane, dopo il
decesso, il pericolo della vera morte: l’oblio e la perdita di identità.
Per Adam e Barbara, questo pericolo
sarà terribilmente vicino, quando la loro casetta verrà abitata da un altro
genere di fantasmi: quelli in carne ed ossa. Una coppia di bambocci alla moda
(Jeffrey Jones e Catherine O’ Hara), incapaci di affetti o interessi, al di
fuori delle loro commedie mondane. Li accompagna una creatura completamente
estranea al loro mondo: Lydia, un’adolescente diafana e sconsolata interpretata
da una giovanissima Winona Ryder (amore, amore a prima vista…). I suoi abiti da
lutto sembrano piangere perpetuamente la dipartita dell’Amore e del Buonsenso.
La sua macchina fotografica è costantemente puntata, a registrare i particolari
strani e inusuali per cui vale la pena vivere. Il suo sguardo acuto e
anticonformista di persona “morta al mondo” la mette in contatto con Adam e
Barbara, che diventano ben presto la sua ragione d’esistenza. Questo, almeno,
finché i due novelli defunti non cedono a una tentazione fin troppo comune:
cercare una scorciatoia ai problemi della (post-)esistenza. Si rivolgono a
Betelgeuse (Michael Keaton) – pronuncia confondibile con quella di
“Beetlejuice”, da cui il titolo del film – , una creatura confinata in
quell’intersezione tra vita presente e memoria che si chiama “immaginazione”.
La fuga in questo mondo, però, sfugge di mano sia ai vivi che ai morti.
Betelgeuse distrugge a proprio capriccio i limiti della verosimiglianza. Di
questa malattia infantile dovrà liberarsi ciascuno dei personaggi, per imparare
a vivere… nonostante la morte.
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