«Dunque…»
si schiarì la voce Tizio, sorseggiando un imprecisato liquore rossastro «quello
che volevo dirti è che chi ha compreso come funzioni la democrazia non ha più
bisogno di invocare dittature».
«Ecco» intercalò Caio. «È proprio su
questo punto che avrei bisogno di chiarimenti».
Tizio
posò il bicchierino sul tavolo del salotto e raddrizzò un poco la postura sulla
poltrona.
«Sai
bene che la democrazia si basa, essenzialmente, su quel principio: la maggioranza vince. Ora, se io solo mi
affacciassi a quel balcone…» e indicò la porta-finestra che dava sul giardino «e
proclamassi che alcuni sono più uguali
degli altri, escludendo questi altri
da qualche diritto civile o politico, sarei linciato come dittatore. Ma nessuno avrà da ridire, se sarà il popolo sovrano a farlo. Anzi, chiunque
protestasse sarebbe accusato di voler esser un lobbista indottrinatore e le masse insorgerebbero per difendersi dall’imposizione di un’ideologia».
Caio
si accigliò: «I cittadini d’oggigiorno sono sentimentali e di pelle delicata.
Possibile che non vedano in tutto questo una crudeltà?»
A
Tizio sfuggì un sorriso: «Glielo impedirà quella stessa animalità che li rende –
come tu dici – sentimentali. Saranno
convinti di difendersi contro élite invisibili e potentissime, intenzionate a
distruggere tutto ciò che loro amano. A quel punto, si identificheranno con le
pecore che non vogliono essere sbranate dai lupi. Le pecore spaventate… sono
bestie inarrestabili. È la forza della piazza, simbolo – come si suol ritenere –
della democrazia. Grandi adunate di
piazza… sono sicuro che ti ricorderà qualcosa».
Caio fece il primo cenno d’intesa.
Ma gli rimaneva un interrogativo: «Però… come realizzare questo capolavoro d’inversione
di ruoli fra pecore e lupi?»
«Basterebbe
aver l’appoggio di un’istituzione abbastanza vecchia da sembrare ovvia come il
Colosseo» riprese Tizio «e, come esso, a tutti visibile e quasi simbolo di
eternità. Il pregio di questa istituzione, di questo fossile vivente, sarebbe
quello di saper parlare alle emozioni prima ancora che al pensiero – cosa che,
ahimè, le ideologie propriamente dette non sempre sanno fare. Dovrebbe anche
avere il fascino di una bellezza maestosa, ma minacciata e da preservare a
tutti i costi per il proprio valore intrinseco».
«Ottimo!»
approvò Caio. «Avrei già in mente un candidato “Colosseo”».
L’altro
si rilassò nuovamente, soddisfatto, e riprese in mano il bicchierino: «Vedrai…
con questa scusa del popolo sovrano e
della bellezza minacciata, potremo
presto anche dimenticarci quella gigantesca sciocchezza romantica dei diritti umani».
«In effetti» gli fece eco Caio «la
democrazia è un’invenzione ateniese. E gli antichi ateniesi erano quello che
noi, oggi, diremmo schiavisti,
imperialisti, maschilisti, razzisti e quant’altro. Il popolino li studia
nelle scuole pubbliche e li osanna come fari di civiltà».
«Appunto» concluse Tizio,
centellinando le ultime gocce sanguigne. «Cercare la dittatura perfetta è come
cercare un bue mentre lo si sta cavalcando».
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