Dopo
María Zambrano e Hannah Arendt, all’I.I.S. “B. Pascal” di Manerbio è stato
presentato un terzo affascinante ritratto femminile: quello di Simone Weil
(Parigi 1909, Ashford 1943). Di lei è stata detta qualunque cosa: filosofa,
storica, mistica, operaia, contadina, miliziana anarchica. Per far conoscere
questi molteplici volti, la prof.ssa Rosaria Tarantino ha coinvolto Monica
Cerutti Giorgi: docente di Storia e Filosofia, studiosa del pensiero della
differenza sessuale. L’incontro si è svolto il 15 maggio 2015 ed è stato il
terzo del ciclo “L’universo femminile: vita e pensiero nella diversità di
genere”, organizzato dal “B. Pascal” e dall’associazione locale “Donne Oltre”,
col patrocinio dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Brescia e la
collaborazione del Comune di Manerbio.
La conferenza era intitolata: “Il
tesoro di Simone Weil – Scritti di vita e di pensiero”. Il “tesoro” sarebbe la
quantità immane di detti scritti, quasi tutti pubblicati postumi. La Cerutti
Giorgi ha però dato ampio spazio all’aneddotica.
Ne è emerso il ritratto di una donna
fragile e impacciata, ma con una vitalità intellettuale inesauribile. La cifra
della Weil era il bisogno di “essere dentro” gli eventi e le situazioni. Per
questo, si congedò dalla scuola ove insegnava filosofia per lavorare come
operaia alla Renault (1934). D’estate, si dedicava alla campagna come “garzone
di fattoria”. Amava scrivere a lume di candela, in stanze piccole e raccolte,
come Diogene nella botte. Un ricordo ci consegna Simone seduta a scrivere
seduta in terra, per mantenere un legame con quell’elemento di concretezza. Sempre
il suo bisogno di vivere le situazioni in prima persona la portò a partecipare
alla guerra civile spagnola, in posizione antifranchista (1936). “Pensatemi
come se stessi andando a ricostituirmi in una zona climatica” disse ai
familiari preoccupati, con un senso dell’umorismo che la “filosofa tragica”
volle sempre conservare. Il suo amore era indirizzato all’essere umano come
“animale simbolico”, ovvero bisognoso di dare un significato a ciò che ha
intorno. Per questo, ricercò le “tre forme terrestri del bene”: bellezza,
verità, giustizia. La sua “giustizia” consisteva nel dare agli uomini la
possibilità di trovare la bellezza nelle cose di tutti i giorni, comprendendo
lo scopo del proprio lavoro (da cui la sua esigenza di stare al fianco degli
operai). La bellezza, a propria volta, era per la Weil un segno della verità,
intesa come frutto di un’incessante ricerca sperimentale. Proprio questa
ricerca la portò anche a una svolta mistica in senso cristiano: la sofferenza e
il riscatto di Cristo sarebbero stati gli stessi vissuti da ogni essere umano,
nella lotta per affermare la propria razionalità. Proprio l’assenza di
razionalità e di bellezza avrebbero causato, nel mondo del lavoro, quella
conflittualità che portò alla violenza politica del periodo precedente la
Seconda Guerra Mondiale.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N°96, maggio 2015, pag. 7.
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