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La bicicletta di Bartali: quando lo sport salva vite

Per la Giornata della Memoria 2017, il Comune di Manerbio e l’A.N.P.I. locale hanno scelto di ricordare nel segno del positivo. Per questo, è stato invitato Simone Dini Gandini, autore de “La bicicletta di Bartali” (Torino 2015, Notes Edizioni). Lo scrittore è nato a Viareggio nel 1986. Dopo la laurea in Lettere, ha collaborato con la Fondazione Carnevale di Viareggio e la Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago Puccini. È autore di poesie, racconti, testi teatrali e libretti d’opera per bambini e ragazzi. Per “La bicicletta di Bartali”, ha collaborato con l’illustratore genovese Roberto Lauciello (N. 1971): docente alla Genoa Comics Academy, ha lavorato per “Topolino” e per i maggiori editori italiani. 

 Al Teatro Civico “M. Bortolozzi”, la sera del 27 gennaio 2017, Dini Gandini ha esposto la genesi del racconto. Nel settembre 2013, si trovava al bar con amici, condividendo “La Gazzetta dello Sport”. Trovò un’intera pagina dedicata al ciclista Gino Bartali, nominato “Giusto fra le Nazioni”. Il campione (Ponte a Ema, Firenze, 1914 - Firenze 2000) aveva infatti più volte percorso in bicicletta il percorso Firenze-Assisi, per procurare documenti falsi agli ebrei italiani perseguitati per questioni razziali. Erano gli anni 1943-44. A causa della propria bradicardia (= battito del cuore troppo lento), fu dispensato dal richiamo alle armi. Questa caratteristica, però, era anche quella che gli permetteva di percorrere con minore fatica le tappe in montagna. Fu così che il vescovo di Firenze, Elia Dalla Costa, gli propose di mettere il proprio talento ciclistico a servizio della DEL.AS.E.M.: “Delegazione d’Assistenza agli Ebrei Migranti”. Era un’organizzazione di resistenza ebraica che operò in Italia tra il 1939 e il 1947, anche con l’aiuto di diversi non ebrei. Gli istituti religiosi che ne facevano parte nella zona di Firenze nascondevano ormai circa 4500 persone e bisognava farle fuggire, per evitare il sovraffollamento. I documenti trasportati da Bartali nel telaio della bicicletta salvarono circa 800 persone. Il suo esonero dagli obblighi di guerra, il suo palese antifascismo, ma anche la popolarità che lo proteggeva - oltre all’infaticabilità di ciclista - facevano di Gino il candidato migliore per un incarico simile. Anche se ciò non significava essere del tutto al sicuro. Una lettera del vescovo che lo ringraziava per non specificate elemosine portò il campione a essere arrestato da Mario Carità (Milano, 1904 – Castelrotto, 1945), comandante del Reparto di Servizi Speciali (RSS) al servizio della Repubblica Sociale Italiana. Però, Bartali fu rilasciato per insufficienza di prove.
Finché fu vivo, non volle far sapere ad alcuno del proprio ruolo a servizio della DEL.AS.E.M. Ne parlò solo in segreto al figlio Andrea, che attese la morte del padre, prima di divulgare la vicenda. Fu così che, nel 2005, la memoria di Gino Bartali fu insignita di una medaglia d’oro al merito civile del presidente della Repubblica. Nel 2013, come abbiam detto, il defunto ciclista fu nominato “Giusto tra le Nazioni” dallo Stato d’Israele.

           Questa storia è stata definita da Dini Gandini “così bella che si è mescolata con la fiaba […] bella come una fiaba ma anche come la verità, quando è bella e vera e coraggiosa” (p. 5). Anche se di favolistico non c’è molto. Il materiale del libro proviene da giornali toscani, dal sito della Regione Toscana e dai contatti con Andrea Bartali, il figlio di Gino. Di magico ci sono solo le pagine in cui la bicicletta di Bartali si stacca da terra, portando in cielo un giovane e ingenuo milite repubblichino, fan del campione. Di quella bici era presente una “sorella” in teatro: una della stessa marca inforcata da Gino. La famosa bicicletta verde che “ha messo uno zampino”, per rendere possibile una fiaba.


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