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Madre Teresa: la "matita di Dio" al Politeama

La Compagnia teatrale Suzao dell’oratorio di Manerbio è alla sua quarta rappresentazione. Dopo il Vangelo secondo Matteo, don Bosco e S. Francesco, i ragazzi hanno portato sulla scena Madre Teresa di Calcutta (Skopje, 1910 - Calcutta, 1997): come sempre, nella forma di un musical. Si è trattato, appunto, di: “Madre Teresa, la matita di Dio”, di Michele Paulicelli e Piero Castellacci (regia e adattamento di Mario Farina; coreografie di Letizia Albrici). Lo spettacolo, realizzato in collaborazione col Gruppo Diapason, è stato allestito al Politeama di Manerbio, il 12 giugno 2016. L’occasione è stata data dall’ordinazione di tre giovani sacerdoti: don Davide Podestà, don Alessandro Savio e don Marco Cavazzoni. Tutti e tre sono cresciuti all’oratorio di Manerbio; il primo era stato anche un membro della Compagnia Suzao. 
           
Il musical presenta Madre Teresa verso la fine della propria vita. Le Missionarie della Carità sono in piena attività; si progetta la costruzione di una casa d’accoglienza più grande, ma quel sogno viene rimandato di continuo per ragioni economiche. I sacerdoti di Brahma e di Visnù, nel frattempo, reagiscono con odio verso quelle «streghe» che portano in India «un Dio d’un’altra razza». La loro preoccupazione è che si possano disintegrare le tradizioni religiose locali e l’identità culturale indiana, sulle quali si fondano i loro privilegi di casta. Un argomento attuale: ancora nel 2010, il sito AsiaNews denunciava le “normali” violenze anticristiane nel Kandhamal, distretto dell’Orissa, Stato della Repubblica federale indiana. Divieto di entrare nei negozi, conversioni forzate all’Induismo, rifiuto del trasporto in ospedale, divieto di attingere acqua, fino al pogrom del 2008: per mesi, il distretto è stato messo a ferro e fuoco dagli estremisti indù. Né l’uso della religione come bandiera etnica è una tentazione esclusivamente orientale.
            Non solo gli influenti sacerdoti, però, sono contrari all’opera di Madre Teresa. A volte, l’opposizione viene dagli stessi lebbrosi che lei intende aiutare. Più che nella misericordia (parola senza significato, per loro), confidano nella reincarnazione, che potrebbe dar loro un corpo migliore.
            Dall’Occidente, invece, arriva un’attenzione mediatica esagerata, incompatibile con la fatica silenziosa delle suore. La carità, sui giornali, si vende bene.
            Tutto questo non ferma le Missionarie, serene in quella vita che permette loro di portare «una goccia nell’oceano», un po’ di refrigerio alla solitudine di tante persone. La povertà che colpisce maggiormente Madre Teresa, infatti, è proprio quella che viene dal non sentirsi amati. È  quella che vivono i paria indiani, ma anche un vecchio giornalista alcolizzato, prossimo a una pensione che non vedrà mai. Proprio lui, però, partirà per l’Africa con un aiutante delle Missionarie, dando origine al ramo maschile dell’ordine. 
            Quel sottotitolo - “la matita di Dio” - è un riassunto del percorso di Madre Teresa. Lei dovrà infatti svuotarsi di ogni ambizione e autocompiacimento, della volontà stessa di «salvare il mondo». Il suo personaggio mostra così quale sia il culto “in Spirito e verità”: rinunciare alle proprie immagini di virtù e alla bandiera dell’identità religiosa, per lasciare che si esprima la forza della con-passione e accogliere dentro di sé tutto il mondo.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 109 (giugno 2016), p. 10.

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