Passa ai contenuti principali

Lupus in Fabula

O mio cuore dal nascere in due scisso,

quante pene durai per uno farne!

Quante rose a nascondere un abisso!

(Umberto Saba)




Le sue dita imprimevano un ritmo indiavolato alle corde del pianoforte. “Non dovresti picchiarli così, quei tasti” gli diceva sempre “Floyd”. Sbuffò e richiuse lo strumento. Lo sapeva. Fin troppo. Il diploma del Conservatorio non era solo un pezzo di carta e ne era fiero.

Solo questo. L’unico problema –ne era convinto. La cosa che sonnecchiava al fianco della lucida mente musicale, come fosse la sua sposa –maledettamente ideale. Se la scrollò di dosso e lasciò la stanza.

Raggiunse la sala comune del Ghislieri. Quattro collegiali arroventavano le manopole del calcetto; il venticinquenne “Chiambretti” dava prova di sé con le freccette del tiro a segno, sfidando due “fagioli” del secondo anno ed un paio di matricole. Il loro sorriso ironico non si scioglieva in commenti –evidentemente- per rispetto dell’anzianità.

Si lasciò andare su una poltroncina, vicino a “Floyd”. Un folto crocchio di compagni e di ragazze della sezione femminile si era radunato intorno al tavolino. Lui decise che, per quella sera, il programma d’esame avrebbe potuto aspettare.

Notò che il tavolino era stato sgomberato dai consueti giornali; al loro posto, una scatola da cui erano piovute varie carte colorate. Tutti erano catalizzati dalla Bordoni, che stava spiegando di che gioco si trattasse.

<<…”Lupus in Tabula”>> afferrò lui. <<Ogni giocatore riceve una carta, che gli dice qual è il suo ruolo. Può essere un “umano” o un Lupo Mannaro. Il Veggente legge nella loro mente e li sa distinguere. I Lupi Mannari sono due…>>

Sentiva qualcosa irritarlo sordamente, come un cattivo liquore che gli scendesse nelle viscere. Non solo il titolo del gioco, beffardamente simile al suo nome di collegio, “Lupus in fabula”. Tutta una girandola di rimandi che sembrava additarlo, quasi una corona di unghie adunche. Strinse in pugni le sue belle dita, proprio da pianista. Difficile immaginarle farsi zampe di lupo. Ma così era. Una sardonica sovversione del buonsenso, che –avrebbe detto Pirandello - non aveva neppure bisogno di parer verosimile, perché era vera.

Aveva quattordici anni, quando quella vita bollente si era infusa per la prima volta in lui. O era scaturita dal suo interno. La cosa.

Non era poi così terribile. Le sue metamorfosi erano fluide, senza dolore. Gli piaceva quel corpo animale, la pelliccia folta e bruna come i suoi capelli, i muscoli che bruciavano le distanze. Ciò che era terribile era doverlo nascondere. Era difficile a Pavia, dove studiava, sebbene le ombre medioevali ed i vicoli del centro storico sembrassero un teatro adeguatamente cupo. Più ancora lo era nella sua città natale, viva di giorno come di notte, dove i ragazzi divoravano le serate con gli amici –come lui, quando la cosa non lo prendeva.

<<Il Criceto Mannaro gioca solo per se stesso…i due Massoni conoscono l’uno il ruolo dell’altro…>>

Quel gioco era una stupida, grottesca mascherata.

Finita la spiegazione delle regole, cominciò la distribuzione delle carte-ruolo. Anche lui se ne vide rifilare una –la Bordoni l’aveva incluso automaticamente nel gioco - e si rassegnò a guardarla. Era uno dei Massoni. Si rilassò.

Gettò un’occhiata al crocchio. E vide la Tedoldi incrociare le sue lunghe gambe. Deglutì.

Poi, colse un’altra presenza, vicino alla sua. Christina. Non ne era sicuro –ma gli era parso che avesse appena distolto lo sguardo da lui.

Christina era l’unica persona, a Pavia, che lo inquietasse veramente. Perché gli somigliava. Non nel colorito perlaceo, negli occhi schivi, nella fronte marmorea. Ma nella forza risucchiante emanata da lei, nella sua energia animale. Non era la cosa. Ma le somigliava.

Christina non era del Ghislieri. Però, trovava spesso modo di fare qualche visita, soprattutto ora che era amica della Tedoldi. E di lui, “Lupus in fabula”. L’aveva accolta più d’una volta, nella penombra storica della sua stanza, fra il ferro battuto ed il legno scuro del mobilio. Si sedevano alla scrivania, tessevano ciascuno il proprio bozzolo di silenzio e studiavano. Poi, lei se ne andava –sempre lasciandogli un bacio sulla carne della guancia. Era affetto vero, lui lo sapeva. Ma non poteva fare a meno di pensare a quante, millenarie volte le sue labbra avessero ripetuto quel gesto con altri, cogliendone una ciliegia di sangue.

Guardava Christina passare nei corridoi del Ghislieri come fosse un’ombra esperta, inquietante. E giungeva a credere che fossero reali le antiche superstizioni di Bram Stoker –che quelli come lei  entrassero anche da fessure e serrature, una volta consentito l’ingresso.

La Bordoni, autoproclamatasi master del gioco, dichiarò l’inizio della “fase notte”. Tutti chiusero gli occhi e cominciarono a battere le mani sul tavolino, per coprire altri rumori. <<Il Veggente apre gli occhi e indica un sospettato!>> scandì la master. Seguì qualche minuto, riempito dai colpi sul legno. Il conciliabolo tra il Veggente e la master si consumò, con risultati a lui ignoti, ed il gioco proseguì.

<<I Lupi Mannari aprono gli occhi>> riprese la Bordoni <<e scelgono una vittima!>>

Li lasciò fare, con un gusto sottile di soddisfazione. Almeno nel gioco, lui era a posto.

<<I Lupi Mannari chiudono gli occhi>> dichiarò la master <<e li aprono i Massoni>>.

Eseguì. E gli rispose lo sguardo di Christina.

Si scambiarono un sorrisetto. Disinvolto, lo voleva lui. Acuto, quello di Christina. Se lo sentì penetrare nei lembi dell’anima. Richiuse gli occhi di scatto, senza aspettare l’ordine della Bordoni.

Durante la “fase giorno”, si scatenò lo sciame di supposizioni.

<<Boh… un Lupo Mannaro potrebbe essere “Floyd”>> buttò “D’Alema”, dall’altro lato del tavolino. <<Guardate che faccia da furbo…>>

<<No, io voto la Giannelli!>> intervenne il “Puffo”. <<Ha proprio lo sguardo da lupa assatanata…>>

Si piegò di scatto, per evitare il cuscino lanciato dalla Giannelli, sempre divorandola di sottecchi.

<<Ma va’, sarà “Lupus”!>> modulò la Tedoldi nella sua voce sopranile. <<Già dal nome si capisce…>>

Lui, allora, fu sul punto di reagire. Sul serio. Ma si frenò. E sostituì lo scatto d’ira con un’occhiata prolungata. Non poteva arrabbiarsi davanti al collo affusolato della Tedoldi, alla penombra tentatrice delle sue ciglia. Stupido gioco.

Nessuno nominò Christina. Forse, per rispetto dell’ospite.

Alla fine, fu eliminato, per “linciaggio” da parte degli “umani”, proprio il “Puffo”. A torto o a ragione che fosse, se ne stette buono in disparte, a seguire le sorti del gioco –e della Giannelli.

La partita si concluse con la vittoria degli “umani”, cui si riunì il “Puffo” con altri eliminati. Dei Lupi Mannari, uno era proprio “Floyd”; l’altro era “Sogliola”, una matricola che fece spallucce alla sconfitta.



*   *   *



Nella sua città natale, evitava di intrufolarsi tra i palazzi storici, in quelle viuzze ove gli sembrava di perdersi in se stesso. Si buttava nel brulichio della spiaggia, fra gli amici di una vita, fra le ragazze belle anche più della Tedoldi. Là si sentiva uno come il mare, che palpitava senza mai spezzarsi. Là non esisteva la cosa. Esisteva un gruppo, in cui anche lui poteva fondersi ed essere semplice, per qualche tempo.



*   *   *



Dopo la partita a “Lupus in Tabula”, non aveva voglia di rimanere solo. Pensò di andare da “Floyd” e proporgli di uscire. O –perché no?- far visita alla Tedoldi. Anche solo per vedere la sua reazione.

Si avvicinò alla finestra. La luna era già spuntata, sul cortile interno di palazzo Ghislieri. Sorrise, in solitaria ironia. “Lupus in fabula” non si trasformava con il plenilunio.

Lo colpì, piuttosto, un guizzo laggiù nel cortile. Si diede del pazzo, perché era stato certo di riconoscerlo. Christina. Non poteva essere lei. Era uscita dal collegio, alla fine del gioco. O no? Era proprio sicuro d’averla vista andarsene?

Si aggrappò al davanzale. Non voleva tornare nella stanza, dove avrebbe dovuto mettersi a letto. Al buio.

Qualcosa, nella sua anima, si strappò. Gemette –che sempre gli succedesse, di non poter essere mai uno. Condanna senza verdetto e senza colpa.

Si chiese se, ora, l’avrebbe preso, la cosa. Ma le membra non parevano liquefarsi, il manto bruno non cresceva.

Si abbandonò al buio che non aveva voluto, alla luce spenta da un’altra mano. E sentì riecheggiare, sulla pelle, la sensazione di un bacio.



*   *   *



Lei gli era spuntata alle spalle. Ma lui lo sapeva. Ed era giorno, e lui era sceso a suonare il pianoforte.

Completò quella pagina della partitura, con calma. Poi, chiuse lo spartito; chiuse il coperchio della tastiera; si alzò.

Andò incontro a Christina. E si sorrisero, come quando avevano riaperto gli occhi durante il gioco. Massoni complici; o Veggenti, che indovinavano l’uno la natura dell’altro. Solo quello era certo: gli occhi di Christina gli ricucivano stranamente l’anima. Con lei, non esisteva la cosa. Esisteva un solo sguardo, in cui anche lui poteva riconoscersi e non essere l’unico “Lupus in fabula”, per qualche tempo.



Primo premio Fantasy del concorso “Caratteri di donna”: Assessorato alle Pari Opportunità, Comune di Pavia, 2011/12

Pubblicato nell'antologia Caratteri di donna, ("Minimalia"), Como - Pavia, 2012, Ibis

N.B. Qualunque riferimento a fatti o persone reali è da considerarsi arbitrario.

Commenti

  1. Dalla mia pagina FB: https://www.facebook.com/lorenzo.delloso/photos#!/erica.gazzoldi/posts/337846509585879

    FRANCESCO GENOVESE: Sono curioso di sentire le opinioni dei non pavesi, o comunque di chi non frequenta i collegi. Io non riesco proprio a fare a meno di dare un volto preciso a tutti quei personaggi...!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. MARTINA FUSARO: mi aggrego a Francesco, non hanno un volto preciso se non un viso pulito e crine biondo..collegiali in bianco e "nero". no, sì, Christina aveva i capelli neri, ma lei non è del collegio, in fondo.. Complimenti, Erica!

      Elimina
    2. Crine biondo? :-O Comunque, i capelli neri erano di "Lupus". xD

      Elimina
  2. L'atmosfera sospesa tra roleplaying game e realtà, con la proiezione degli istinti dei personaggi dalla realtà alla story e ritorno funziona a mio giudizio egregiamente!

    RispondiElimina

Posta un commento

Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i