"La lotta contro la criminalità organizzata ha, nell’immaginario contemporaneo, il volto di Roberto Saviano. Poco si conoscono, invece, i “soliti ignoti” che coltivano detta lotta, soprattutto grazie alla democrazia del Web. Blog e social network sono solo apparentemente giocattoli adolescenziali. Possono veicolare la coscienza civile e provocare persecuzioni giudiziarie. Come nel caso di Vincenzo Fatigati.
Studente di Filosofia, cresciuto ad Afragola, gestisce due blog: L'inferno dei viventi e Vincenzo Fatigati - Non esiste un momento nel quale sia sospeso il dovere di dire la verità. . I temi che tratta sono legati all’attualità ed alla camorra, con particolare attenzione alla scena afragolese. Su Facebook, è fondatore della pagina Resistere ad Afragola contro la camorra , cui si affianca il gruppo: Presidio Afragola - Casoria: resistere ad Afragola contro la camorra . Tutto ciò, lo scorso 27 gennaio, è costato a Vincenzo una querela da parte di Anna Mazza: per intenderci, colei che Saviano ha ritratto in “Gomorra” come vedova di Gennaro Moccia, padrino di Afragola, e riformatrice imprenditoriale del clan.
Oltre a Vincenzo, la querela della signora ha coinvolto due giornalisti: Roberto Saviano, per ovvi motivi, e Marco Di Caterino, “colpevole” d’aver diffuso su Il Mattino (in data 1/11/2005) i risultati delle indagini su Luigi Moccia, figlio di Anna Mazza. La pagina FB fondata da Vincenzo ha riproposto citazioni da entrambi i succitati. Ad essere messo in questione è il titolo stesso del sito. “Si tratta […] di una precisa denuncia della società afragolese […] Non è un caso che la pagina venga denominata proprio ‘Resistere ad Afragola contro la camorra’ ” dichiara l’avv. Antonietta Genovino, difensore di fiducia di Anna Mazza, opponendosi alla richiesta d’archiviazione del caso. In altre parole, la vedova Moccia vorrebbe vietare che si parli di “camorra ad Afragola”. Più ancora, avversa l’indicazione del clan Moccia come associazione a delinquere. Tutto ciò, però, non è certo frutto della fantasia di Vincenzo. La questione è sul tavolo da tempo e per opera di diverse testate. In particolare, La Repubblica (28/09/1994) pubblicò un articolo di Giovanni Marino ed Ottavio Ragone circa le dichiarazioni del pentito Domenico Cuomo. Esse riguardavano anche i figli della querelante: essi si sarebbero “dissociati”, ovvero avrebbero preso ideologicamente le distanze dalla camorra, ma senza fare accuse a carico di alcuno. (1) Il pezzo di Marino e Ragone è stato riproposto dalla suddetta pagina FB, insieme alle citazioni da Saviano e Di Caterino, nel gennaio 2012.
Il Pubblico Ministero Luigi Musto è stato colui che ha richiesto l’archiviazione del caso. Ha sottolineato come l’accusa di diffamazione sia inconsistente. In primo luogo, gli indagati avrebbero semplicemente esercitato un diritto garantito dalla Costituzione: “…manifestare liberamente il proprio pensiero [...] La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” (art. 21). Inoltre, si sono limitati a dati cronachistici di pubblica utilità, senza contravvenire alla continenza verbale. “Le affermazioni effettuate dagli utenti del sito” scrive poi Musto, circa la pagina FB “non presentano carattere di categoricità, veicolando informazioni della cui fondatezza si parla in termini probabilistici, attingendo in ogni caso da atti processuali e verbali di polizia giudiziaria.”
Lo scambio di informazioni e riflessioni fra Vincenzo e gli altri utenti è, dunque, ciò che Anna Mazza chiama “diffamazione”. “Come se criminale fosse solo un giudizio su un operato, non un gesto oggettivo, un comportamento.” (2) Tanto che, sul banco degli imputati, finiscono proprio loro, i “testardi senza gloria” che abitano in terra di camorra e cercano spazi per parlarne, per dire che non vogliono più vivere in una Gomorra da distruggere.
(1) Cfr. Roberto Saviano, Gomorra, (“Piccola Biblioteca Oscar”), Milano, 2010, Mondadori, pag. 166-167.
(2) Roberto Saviano, op. cit., pag. 175. "
Da Inchiostro (Pavia), n° 116, marzo 2012, pag. 6
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