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Lettera aperta a donna Prassede

Cara donna Prassede, 

mi rivolgo a te pensando a una moltitudine. Perché ci sono “donne Prassedi” maschi e femmine, vecchie e giovani, frustrate e di successo, insipide e affascinanti, umili e altolocate, cristiane, atee e perfino buddhiste, come fa intuire Philip Kapleau. Sotto tutte queste forme hai incrociato la mia strada, sia pur durante una vita breve. Per questo, credo di potere – e dovere – parlarti a chiare lettere.
            Di te, si può dire che non sei ipocrita. Non fai nulla per apparir migliore di quel che sei. Agisci d’impulso e (come bene afferma Antonia Pozzi) l’impulsivo non può essere insincero. Sei tanto trasparente che è fin troppo facile disgustarsi di te – o esserti grati. La povera Lucia Mondella deve aver provato entrambi i sentimenti.
            Sei ottimista, anche. Ti muovi perché credi che il tuo intervento sia efficace nel migliorare le condizioni di vita altrui. Non sarai mai qualunquista o nichilista, se non forse a prezzo d’una cocentissima delusione da cui la tua cocciutaggine tende a immunizzarti.
            Di te, Manzoni dice che hai poche idee. Ho conosciuto, in realtà, anche “donne Prassedi” di buona cultura, con gli scaffali pieni di libri disparati. Ma, con le loro “cugine” meno istruite, avevano in comune almeno una cosa: i chiodi fissi. Tutte ce l’avevano a morte con qualcosa o qualcuno in cui vedevano la radice di ogni male. Inutile dire che non trovavano mai questa radice in sé.
Ogni loro sentimento o rapporto era condotto sotto l’ala  ombrosa del chiodo fisso. In ogni amicizia, corrispondenza, storia d’amore – per quanto sincera – non potevano fare a meno di vedere uno strumento della loro battaglia. “Avvicinare XY al partito/movimento/religione/circolo/ambiente è stata una grande vittoria!” Diciamo pure che questo tuo aspetto, cara donna Prassede, è francamente disgustoso. Le persone ridotte a pedine. Poco importa che tu lo faccia “per il loro bene”. Stai comunque agendo di straforo in una rete di esistenze di cui non conosci a sufficienza la complessità. Per difendersi dalla tua benevola invasione, le tue stesse figlie hanno dovuto imparar l’arte dell’omissione. Davanti a te, perfino un angelo di schiettezza e ingenuità si trasformerebbe in volpe e leone. L’istinto di autodifesa lo richiede.
            Certo, ci sono anche le Lucie consenzienti, che si rifugiano fra le tue materne braccia perché non sanno più dove andare a battere il capo. Quando si vedono crollare tutte le proprie sicurezze, una donna Prassede sembra manna dal cielo. E tu, per le Lucie derelitte, ti prodighi ben oltre il tuo dovere. Senza di loro, ti sentiresti vuota. Per questo, quando l’uccellino ferito torna a volare, conservi un fondo di rancore. Sarebbe una gloria, per te, se quell’uccellino seguisse le rotte da te tracciate. Ma non lo fa. Egli – povero scioccherello! – ha il torto d’avere passioni e pensieri diversi dai tuoi. Non vuol più saperne d’essere il tuo prodotto, come quando era alla tua mercé. E, per questo, lo chiami infido, incostante, cieco. “Perché non segue i voleri del cielo?” Perché quel cielo – come dice Manzoni – è solo il tuo cervello.

            Per il debito che, comunque, ho con tutte voi, mie “donne Prassedi”, vi scrivo questo. Perché non vi affanniate a combattere un male che voi stesse avete creato, con le vostre proiezioni mentali. E anche per il bene delle Lucie che càpitano nelle vostre mani… Il ferro del chirurgo non è un gingillo adatto a voi.

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