Chi
non ha mai sentito parlare del compositore Antonio Vivaldi (Venezia 1678- Vienna 1741)? Così famoso
oggi, morì dimenticato e in rovina. I manoscritti delle sue composizioni
musicali, fra eredità, passaggi di mano, lasciti e acquisti, riemergeranno all’inizio
del Novecento. L’avventurosa vicenda è stata romanzata da Federico Maria
Sardelli, in: L’affare Vivaldi (Palermo 2015, Sellerio).
Il trio Franco Nobis, Marco Tansini e Silvia Sesenna |
Una
serata nel salone di rappresentanza del Municipio manerbiese è stata intitolata,
appunto: “Vivaldi: dall’oblio al ritorno alla fama”. Era stata organizzata dal
Comune (Assessorato alla Cultura) e dall’associazione Amici della Biblioteca di
Manerbio. La data era il 22 ottobre 2017.
Erano stati invitati Franco Nobis
(flauto), Marco Tansini (flauto) e Silvia Sesenna (clavicembalo). Prima di ogni
pezzo musicale, veniva esposta una “puntata” dell’ “affare Vivaldi”. Dal 1741,
si passò al 1922: anno in cui, a Borgo San Martino (Monferrato), morì un
nobiluomo della casata genovese Durazzo. Possedeva una biblioteca molto curata,
ricca di manoscritti, che volle lasciare ai Salesiani del luogo.
Nel
1926, i religiosi decisero di venderla, per raccogliere i fondi necessari a
ristrutturazioni non più rimandabili. La valutazione dei manoscritti fu
affidata al direttore della Biblioteca Nazionale di Torino, Luigi Torri.
Questi, a propria volta, consultò il musicologo Alberto Gentili. I manoscritti
si rivelarono essere una collezione sterminata di composizioni musicali. Gran
parte di esse era firmata da Vivaldi. Per non disperdere la collezione, i
professori decisero di farla acquisire alla Biblioteca Nazionale. L’ingente
somma necessaria giunse dall’agente di cambio Roberto Foà: offrì il denaro di
tasca propria, purché i manoscritti costituissero un fondo dedicato al figlio,
prematuramente defunto. Nacque così la Raccolta Mauro Foà. Ben presto, fu
evidente che essa comprendeva solo i volumi dispari della collezione. Grazie a
Faustino Curlo, esperto di araldica, fu condotta una ricerca lungo i rami di
casa Durazzo, fino a reperire l’altra metà. Ancora una volta, i fondi per
acquistarla giunsero in memoria di un figlio precocemente perduto: Renzo
Giordano, il cui padre era l’industriale tessile Filippo Giordano. Accanto alla
prima raccolta, ne fu così costituita una seconda.
Nel
1939, a causa delle leggi razziali, Gentili dovette lasciare l’università. I
materiali vivaldiani non verranno così pubblicati dal loro storico studioso.
Rimane però, presso la Biblioteca Nazionale di Torino, la maggiore raccolta di manoscritti firmati Vivaldi.
Di
quest’ultimo, durante la serata, non sono state eseguite le celeberrime
“Stagioni”, bensì pezzi meno conosciuti al grande pubblico: Trio in re maggiore
RV 84. Allegro, Andante, Allegro; Trio in sol maggiore RV 80. Allegro,
Larghetto, Allegro; Concerto con due flauti traversi in do maggiore RV 533.
Allegro, Adagio, Allegro.
Il clavicembalo di Silvia Sesenna. |
La
locandina comprendeva anche un pezzo di J.S. Bach, a dimostrazione di come i
compositori settecenteschi impiegassero Vivaldi per apprendere lo stile
italiano. Ma è stato sostituito da un altro brano.
Protagonista
della serata era anche il clavicembalo: uno “strumento vivo”, come ha detto
Silvia Sesenna. “Vivo”, perché il legno di cui è composto reagisce al clima; perché
ha una voce “personale” e permette a ciascun suonatore di trovare il proprio
tocco e stile. Ebbe il suo periodo di gloria nel ‘700, per poi essere
sostituito dal più sonoro pianoforte. Dimenticato e redivivo, come Vivaldi.
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