Sara
si fissava nel ritaglio dello specchio; le sue ciocche d’inchiostro
serpeggiavano lungo le spalle seminude, lungo il disegno delicato delle
scapole.
Dal letto, Mirko la occhieggiava con
studiata distrazione. Nel corridoio del collegio, gli altri allievi del
“Cairoli” vociavano e rimandavano tonfi da una parete all’altra, in quella che
doveva essere un’improvvisata partita di calcio con una palla di cartacce.
«Domani, non verrò a trovarti»
annunciò Sara, passando il pettine di Mirko là dove, poco prima, si erano
immerse le dita di lui. «Non so tu, ma io avrò bisogno di riposare, la notte
prima della recita».
Baccanti. Fonte: igiornielenotti.it |
«Non
c’è problema» mormorò lui, in un soffio tenero e rauco.
Finalmente,
anche Mirko aveva trovato posto nelle iniziative teatrali della professoressa Fusini. Negli anni precedenti, lei aveva coinvolto diversi studenti
dell’università di Pavia in pièces di
Oscar Wilde o di William Shakespeare, inscenate con efficace semplicità
nell’Aula Magna del Collegio Ghislieri. Fra queste rappresentazioni, era
compresa una Salomé, intrepretata da
Sara, che a Mirko aveva fatto rasentare il deliquio.
«Devo ricordare a Laura di portare i
serpenti di gomma» mormorò la ragazza quasi fra sé, riabbottonandosi la
camicetta. L’altro represse un moto di fastidio. Cercò di concentrarsi sulle
finissime dita di lei, che sistemavano il colletto attorno alle vene cerulee
della gola.
Quell’anno, la Fusini aveva
consultato i colleghi classicisti e aveva proposto le Baccanti di Euripide, in una recente traduzione di Vincenzo Di
Benedetto. I serpenti di gomma avrebbero adornato il capo delle coreute e del
loro dio Dioniso –alias Sara.
Laura. Il “principe Amleto” dal
caschetto biondo e dagli occhi pieni di azzurro distacco. L’indolente
confusionaria che, di botto, sapeva partire con lo zaino in spalla, per andare
a perdere il cellulare sui Carpazi.
Certo,
Laura sapeva recitare. Mirko lo ammetteva senza sforzo. Ma proprio questo suo
rivaleggiare con Sara in profondità interpretativa, l’intreccio flessuoso delle
due anime nel lago dell’arte gli dava ombra. Gli sembrava di doversi fermare
sull’orlo di quel lago, irretito come Sigfrido davanti al Cigno Bianco e al
Cigno Nero.
Due
sere dopo, lui, Mirko, sarebbe stato Penteo, re di Tebe. E Laura sua madre,
Agave. Si chiese se “Tombola”, suo compagno di collegio, stesse ripassando il
monologo del Secondo Messaggero –quello con cui avrebbe annunciato la morte di
lui, Penteo.
Sara aveva già raccolto la propria
borsa e gli sorrideva, con un lume d’ammaliante congedo nei loti degli occhi.
«Ti
accompagno!» si offrì lui, come sempre. Il collegio femminile “S. Caterina da Siena”
si trovava proprio dietro il “Cairoli”. Mentre Sara si appoggiava mollemente al
suo braccio, Mirko pensò a Laura, al fatto che lei dormisse sotto lo stesso
tetto della sua ragazza. Uno sbuffo impercettibile scacciò quell’ombra.
*
* *
I sedili
dell’Aula Magna, a giudicare dal brusio, andavano già riempiendosi. Agli occhi
dei presenti, si offriva un soppalco, sul quale una sagoma bianca chiusa da
tende grevi voleva significare il palazzo di Penteo. Ai piedi di esso, tronchi
di colonne ioniche in polistirolo giacevano, ammantati di edera. Fra di essi,
un monticello di pietre reggeva un cratere in terracotta –segnacolo della tomba
di Semele, madre di Dioniso.
Dietro la scena, Mirko attendeva, già
bardato con la spada e un’armatura in finto cuoio che sembrava esternare le
fibre muscolari.
Sara indossava
le vesti vaporose di Dioniso, sormontate da una falsa pelle di leopardo. I suoi
capelli corvini fluivano liberi come Mirko li aveva visti nella propria stanza;
su di essi, una corona di edera e serpi di gomma, che circondavano anche il
collo.
Sara stava
aiutando Laura a rassettarsi il costume di Agave, ricco di pieghe e lembi. Le
sue dita percorrevano quei panni come trame di una mappa a lei familiare. Laura
la lasciava fare, con un velo sornione sugli occhi. Mirko strappò il proprio
sguardo dalla coppia. Un rossore rabbioso gli punse le guance.
Il buio calò nella sala. Un “occhio di
bue” si fece strada sul soppalco. La voce di Sara risuonò squillante nel
prologo:
…quante donne c’erano a Tebe, tutte le ho fatte impazzire e le ho fatte uscire dalle case, e ora insieme con le figlie di Cadmo, senza distinzione, siedono sotto i verdi abeti su rocce che non hanno tetto. È necessario che questa città impari, anche se non lo vuole, che le manca ancora di essere iniziata ai miei riti…
Un suono
cadenzato di cembali e verghe misurò l’ingresso del coro di baccanti, che si
seminarono fra i tronchi di colonne, attorno alla tomba. Mirko deglutì,
nell’ombra della scena, mentre le ragazze scandivano i versi all’unisono
–un’abilità che era costata i momenti più esasperanti delle prove. Anche perché
le baccanti dovevano recitare danzando. Sara sarebbe stata bravissima, pensò
Mirko –lei che era stata Salomé.
Un rumore di passi sul soppalco segnalò l’ingresso
in scena dell’indovino Tiresia e di Cadmo, padre di Semele e Agave. Anche loro
erano stati agghindati come le coreute, con tirsi, ghirlande di foglie e finte
pelli di cerbiatto. Sotto quei paramenti, recitavano Francesco, il compagno di
bevute di Laura, e Cesare, che di lei era stato compagno di liceo e aveva
ereditato da quei tempi –non si sapeva bene – l’amicizia o il disprezzo della
ragazza.
I due levarono
alti schiamazzi, festeggiando il loro ringiovanimento a opera di Dioniso. Mirko
inspirò a fondo. Presto, lui avrebbe dovuto fare irruzione e castigare la loro
euforia.
Che combinazione. Mi trovavo fuori di questa terra, quando ho sentito le brutte novità che succedono qui a Tebe…
Francesco e
Cesare, nei loro addobbi femminei, fissavano Mirko come se realmente fosse il
giovane re di quella folla muta, pronto a rovesciare la scena e a far cessare
la trasgressione rituale del teatro. Il ragazzo squadrò con disprezzo le
baccanti, disseminate nell’edera, sotto il palazzo:
Ho sentito anche che i boccali, colmi, stanno ritti, in mezzo ai loro tiasi, e quelle intanto si appartano in luoghi solitari……la loro motivazione è che sono menadi officianti, solo che anziché a Bacco la precedenza la danno ad Afrodite…
Mirko lasciò la
scena con un gesto di magnifico sdegno, dopo aver gettato a terra i tirsi e le
corone vegetali strappati ai due. Nelle orecchie, gli risuonava ancora il
discorso di Tiresia:
…questo dio, il dio nuovo che tu deridi, io non sono in grado di dire tutta la sua grandezza, e l’impatto che avrà…
Uscì nuovamente
dalla reggia quando si furono spente le sillabe del coro, scorrenti su un
tappeto di flauti:
…potessi io giungere a Cipro,
l’isola di Afrodite…
…lì portami tu, o Bromio, Bromio,
tu dio che guidi il corteo dell’euoè;
lì sono le Chariti, lì il Desiderio,
lì hanno accesso le baccanti
per celebrare il rito.
Con le morbide
braccia strette dai servi, gli occhi neri ombreggiati dalle lunghe ciglia, gli
fu condotta Sara. Nella posa fiera che il ruolo gli imponeva, Mirko fissò la
prigioniera. Ombreggiature fumose e affusolate davano un risalto ipnotico al
suo sguardo; il trucco disegnava anche, sulle sue guance, due pomelle color del
mosto.
Liberate le mani di costui. È in trappola: sarà veloce, ma non così tanto da sfuggirmi.
Con passo
sicuro, Mirko avanzò verso Sara e le fece alzare il mento. La costrinse a
guardarlo negli occhi:
Eppure, per l’aspetto esteriore, o straniero, non sei privo di una tua piacevolezza formale, per chi voglia usare criteri femminili…
Un bagliore
guizzò nelle pupille di Sara. Mirko fissò i petali serrati della sua bocca:
…I tuoi riccioli sono ben lunghi, e non perché tu pratichi la lotta libera; arrivano fin sopra la guancia, sono roridi di desiderio; e se la tua pelle è lucida, c’è un fine ben preciso: non ti esponi ai dardi del sole, ti ripari sotto l’ombra, e con la tua bellezza cerchi di far tua Afrodite…
Il fiato del
giovane sembrò sospendersi. Sara colse il suo esitare e gli rimandò un sorriso
di sfida:
Sai tu –forse ne hai sentito parlare – del fiorito Tmolo?
A quelle parole
di Dioniso, cominciò il dibattito serrato fra il dio e il re. Mirko ripercorse
le battute con sicurezza, attendendo il momento convenuto.
Dimmi la pena che devo subire, la cosa terribile che mi vuoi fare.
Pronunciando
questa frase, Sara piegò il capo, con una sottomissione studiata che sapeva di
suadente. Mirko, con il dorso dell’indice, le percorse l’orecchio:
Prima cosa. Questo tuo ricciolo delicato, lo taglierò.
Il ricciolo è sacro, fece lei di
rimando. È per il dio che lo faccio
crescere.
L’altro, imperterrito, le sottrasse anche
il tirso.
Mentre i servi
trascinavano Sara all’interno della scena, lei si volse verso Mirko, con
sguardo esaltato:
…il contraccambio di questi oltraggi da te lo esigerà Dioniso…
Seguì la voce
del coro, poi lo strepito delle baccanti. La voce argentina e morbida di Sara
le galvanizzava dall’interno del palazzo. Le sue parole senza volto chiamarono
fuoco sulla reggia e sulla tomba di Semele.
Alla fine, Mirko si ritrovò di fronte al
dio, libero dalle sue catene. Con un sorriso di squisito trionfo, Sara invitò
al silenzio le proprie menadi e fissò il giovane, in ascolto delle prodezze
sanguinarie avvenute durante i riti bacchici.
Mirko, dunque, giunse alla risoluzione fatale:
abbandonare spada e armatura, per assumer l’abito delle menadi. In piena luce,
sulla scena, Sara aggiustò sul suo corpo quel nuovo rivestimento femmineo. Le
sue dita si muovevano, fluide, tra pieghe e ciocche di capelli. Lei, invece,
era stata arricchita di un paio di corna taurine e di un manto di nera
pelliccia. Mirko ripensò a lei e Laura –ma si distolse dal ricordo.
Il tuo modo di pensare è cambiato: bravo.
Il giovane
sorrise a Sara di rimando, come gratificato dal complimento:
Eppure, sono sicuro che esse nei cespugli, come uccellini, sono impegnate in amplessi con graditissimi allacciamenti…
La ragazza
saettò verso di lui un ghigno:
È per questo che ti avvii sul posto a controllare la situazione. Probabilmente le coglierai sul fatto, se tu non sarai preso prima.
Le sue corna e
il suo manto parvero torreggiare su Mirko, facendo di lei una belva immane e
fantastica. Sara fissò la figura agghindata del giovane, i suoi ornamenti
femminili, e si distese in un’espressione di voluttuosa apoteosi:
Tu sei il solo che per questa città impegna se stesso, tu solo. E per questo ti attendono le prove che ti spettavano. Seguimi: io procederò, tua guida e tua difesa. Ma altri ti condurrà via di lì…
La voce di Mirko
si levò con flautato trasporto:
A deliziosi vizi sei tu che mi costringerai…
Dioniso si volse
al pubblico. Le sue parole esplosero sulla folla:
Sei tremendo, tremendo e a prove tremende ti avvii: troverai una gloria che arriva fino al cielo. Tendi le tue braccia, Agave…
Mirko riparò
sotto le ombre del retroscena, delicatamente sospinto dalle dita di Sara.
Avrebbe rivisto le luci della ribalta solo disteso su una barella, quella che
avrebbe accolto le sue spoglie straziate dalla baccanti. Laura avrebbe
trionfato, innalzando sul tirso l’effigie della sua testa.
Si preparò disteso sul lettuccio e attese
di ascoltare la descrizione della propria morte scandita da “Tombola”. China su
di lui, col volto di Dioniso ancora dipinto sul proprio, Sara gli rivolgeva
un’espressione serafica.
Mirko cercò di cogliere
nei suoi occhi arabi l’impronta di quelli di Laura. Poi, scivolò in una sorta
di sopore, in cui le dita di Sara fra i suoi capelli trascinarono il suo capo
in una danza; un turbine d’ali corvine si confuse coi bagliori d’una chioma
bionda e mille mani di velluto gli strapparono fitte senza nome.
Compreso in: AA.VV., Racconti bresciani. Edizione 2017, a cura di
Viviana Filippini, 2017, Historica Edizioni, pp. 67-73.
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