Non
c’è bisogno di precisare a cosa fa riferimento questo post. Le accuse di Asia Argento, per l’incubo che Weinstein le avrebbe fatto passare nel
1998 sono state seguite da un effetto valanga, ricevendo praticamente l’attenzione
di chiunque, nel bene e nel male. Altre attrici, altri produttori, altri attori
(sia nominati che anonimi) stanno scoprendo gli altarini che, magari, erano
facili da sospettare, ma assai meno da provare. Anche in questi giorni, stanno
uscendo notizie riguardanti il lato italiano del fenomeno.
Asia Argento |
Una gara (da parte dei media,
non delle vittime) a chi offre le chicche più fresche. Pare che ogni Venerabile
Estiqaatsi di turno abbia qualcosa da commentare. In mezzo allo squallore e all’orrore
dei fatti rivelati, accanto alla banalità delle reazioni dell’ “opinione
pubblica”, tanto vale aggiungere la banalità del mio parere non richiesto.
Così com’è stato sollevato, questo polverone
non cambierà assolutamente nulla.
Non
scuote davvero nessun animo, se non quello di chi ha vissuto lo stesso trauma o
era sensibile alla questione già da prima. Anzi: non ci racconta niente di
nuovo. Il Porco al Lavoro è una vecchia conoscenza, a questo mondo.
Soprattutto, il polverone di denunce
e solidarietà è fuori tempo. Avrebbe
dovuto venir sollevato alla fine degli anni Novanta, quando Weinstein (e non
solo) consumava le proprie “prodezze”. Così non è avvenuto: perché? Altra risposta tacitamente nota,
sottolineata (stavolta) per bocca di una vittima maschio, l’attore Terry Crews:
“«Mi allontanai e dissi “Che stai facendo?”. Mia moglie vide tutto, lo guardavamo come fosse matto. Lui si limitava a sorridere come un coglione. Stavo per fargli il culo ma poi ci pensai due volte, visto come sarebbe sembrata tutta la faccenda. “Uomo nero enorme pesta un pezzo grosso di Hollywood”, avrebbero titolato i giornali il giorno dopo. Probabilmente non li avrei potuti leggere perché sarei stato in prigione. Così ce ne andammo. Quella notte e il giorno dopo raccontai a tutti quelli che conoscevo cos’era successo. Il giorno dopo lui mi chiamò scusandosi ma non spiegò mai perché lo aveva fatto. Decisi di non fare niente perché non volevo essere ostracizzato, visto che l’aggressore ha potere e influenza. Lasciai perdere. E capisco perché così tante donne a cui capita questa cosa facciano lo stesso».” (Fonte: IlPost.it)
Vent’anni dopo,
misteriosamente, questo pericolo non c’è più. E una notizia dolorosa,
schiacciante, può divenire un prodotto
di mercato, con cui riempire giornali e spazi televisivi, trastullando un
pubblico che ha sempre fame di sesso e violenza. In fondo, per chi non è
personalmente sensibile a mali simili, storie del genere sono solo un altro film, recitato da quei
personaggi favolosi che l’hanno fatto sognare. L’indignazione, il poter “levare
la propria voce”, non costa niente e aggiunge il pepe al piacere. Per chi non
ama “accodarsi al buonismo”, c’è persino l’opzione alternativa: dare delle
t***e e delle opportuniste a coloro che denunciano. Anche se, personalmente,
questa opzione non mi sembra così intelligente e originale. A prescindere dal
fatto che possa essere veridica o meno.
C’è tutto: il cattivo, brutto e
potente, o bello e ambiguo, a seconda dei casi. Ci sono le vittime: bellissime,
fascinose, destinate per questo (secondo gli impulsi della Bestia nel Cuore) a essere consumate. Lo diceva bene Francesca Serra: ogni secolo ha avuto
bisogno di fanciulle sacrificali; ma il nostro necessita d’averne in serie.
La
distanza temporale ha permesso alla
carriera dei porci di svilupparsi, sotto la congiura del silenzio; rompere quel
silenzio ormai inutile, ora, è un altro affarone, per chi sa come ammannire lo
scandalo. Ecco perché il caso Weinstein non è rilevante, se non per
sottolineare un meccanismo perverso della
nostra società: quello per cui la denuncia non sconvolge davvero nulla e fa,
anzi, parte dello status quo. Come la
morte di Laura, Beatrice e delle altre donne che hanno regalato grande profitto
ad altri, rimettendoci le penne in tempo propizio per questi ultimi.
Una
denuncia utile e onesta si fonda su questo detto proverbiale: parlate
ora, cari mass media, o tacete per sempre. Il resto è business. O banalità, come la mia.
P.S.
Già che ci sono, aggiungo che, nel coming
out di Kevin Spacey, non trovo niente da applaudire o da festeggiare.
Vorrei sottolineare che esso è scaturito da un’accusa di molestia sessuale, per di più su un ragazzino. Terrei lo champagne in serbo per una migliore occasione di
brindare.
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