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Tutti gli uomini amano le donne libere

“Tutti gli uomini amano le donne libere… a patto di averne una a casa che non lo sia.” Con questa frase eloquente si apriva la lettura pubblica intitolata, appunto, “Tutti gli uomini amano le donne libere.” È stata tenuta al Teatro Civico “Memo Bortolozzi” di Manerbio, il 13 marzo 2016. Fra gli organizzatori, figuravano il Comune, l’associazione culturale “Chirone” e il Comitato per il gemellaggio Manerbio - St. Martin de Crau. 

            Le autrici di cui sono stati letti i brani, infatti, erano francesi: Laure Adler, Muriel Barbery, Simone de Beuvoir, Olympe de Gouges, Elisabeth Greffulhe, Camille Laurens, Christine de Pizan e un’anonima poetessa. Le loro voci sono risuonate attraverso quelle di Giovanna Solimeo, Larissa Vetturio ed Eliana Gamberetti. La chitarra di Emma Baiguera eseguiva delicati intermezzi.
            Olympe de Gouges è la madre della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” (1791). Essa invitava le donne a cogliere l’opportunità della Rivoluzione francese, per reclamare la propria uguaglianza. Olympe morì ghigliottinata. Ancora nel 1804, un figlio della Rivoluzione - Napoleone Bonaparte - promulgò un Codice civile che rendeva lo status delle donne quello di perpetue minorenni. Checché si dicesse di “liberté, égalité, fraternité”, diritti come quello di votare, di iscriversi all’università senza il permesso del marito e di amministrare i propri beni non furono riconosciuti alla popolazione femminile prima del XX secolo.
            Nel 1949, Simone de Beauvoir scriveva, ne “Il secondo sesso”: “Ho esitato a lungo prima di scrivere un libro sulla donna. […] Non è più chiaro se vi siano ancora donne […] È ciò che affermano vigorosamente i partigiani dell’illuminismo, del razionalismo, del nominalismo: le donne sarebbero soltanto quegli esseri umani che arbitrariamente si designano con la parola «donna» […] se un’arretrata si considera ancora una donna, le amiche la consigliano di farsi psicanalizzare...” La stessa filosofa ricorda l’umiliante educazione ricevuta: il padre cercava di mantenerla ingenua ed era imbarazzato da una figlia troppo appassionata di libri, incapace di ben figurare nei salotti. Della propria intelligenza si vergognò, un giorno, anche l’italo-francese Christine de Pizan (1364-1429 circa). “Ahimé, mio Dio, perché non mi hai fatta nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al Tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…” esclamò nella sua opera principale, “La Città delle Dame”.
            L’autrice contemporanea Camille Laurens menziona un elenco di grandi donne (pittrici, scultrici, scrittrici) ricordate esclusivamente per i loro legami con uomini. Nell’era dei siti di incontri, le donne con più di quarantacinque anni sono spesso trattate come “conserve scadute”.
            Nel 2006, è uscito il romanzo “L’eleganza del riccio”, di Muriel Barbery. Ancora una volta, compare un’adolescente costretta a nascondere la propria intelligenza, per non essere troppo “diversa”.
            Nel 1878, una ragazza istruita e raffinata viveva il proprio matrimonio “insensato” come il momento in cui avrebbe dovuto dire addio a tutto ciò che amava.
            L’incontro è stato concluso dai versi dell’anonima: “Io sono quella che cantano i poeti,/l’inesauribile sorgente dove palpita il genio […] Ma io non vengo ascoltata./Io sono parlata ma non parlo…”
            Piccoli assaggi per comprendere quella “relazione intessuta di proibito, di appropriazioni, di reincorporazioni” (cit. dallo spettacolo) che ha caratterizzato da sempre il rapporto fra donne e libri, rendendolo affascinante e “pericoloso”.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 107 (aprile 2016), p. 7.

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