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La vergine di ferro - I,6


Parte I: Labirinti



6.

Secondo Flashback
Dapprima, fu la palpebra a muoversi, come per una volontà a lei intrinseca. Poi, le ciglia si sollevarono, svelando le pupille al buio della notte. Un peso plumbeo gravava ancora sull’encefalo di lei. Ma, ora, poteva sentirlo.
Piano piano, gli impulsi scorsero per il collo, la schiena, gli arti. L’indice della mano destra vibrò. Una nausea terribile stordiva Nilde. Quando cominciarono a risvegliarsi i piedi, l’alluce toccò qualcosa di freddo, morbido e liscio. La stessa superficie fu avvertita dai gomiti e dal colmo del cranio. 

Sentì che i suoi capelli erano tirati e appuntati con forcine. Queste iniziarono a darle fastidio. Mosse istintivamente la mano sinistra ed essa urtò un oggetto duro e cilindrico. Il manico di una katana.
            Per le sue membra, scorse un impulso improvviso e violento.
Si rese conto, tutto ad un tratto, che il suo corpo era disteso in una cassa foderata di satin e che lei fissava un soffitto nelle tenebre. Ansimò. Sopra di lei, c’era aria. A tentoni, la sua mano destra risalì la sponda della cassa e ne trovò il bordo. Era aperta. Lasciò penzolare le dita fuori da essa. Intuì che doveva trovarsi sollevata da terra.
Oh, mio Dio.
Attorno alle sue gambe, avvertì la carezza di una gonna lunga e leggera. Cercò di scalciare. Poi, cominciò a chiamare a sé l’alluce. Una per una, tutte le dita, finché non le avessero obbedito alla perfezione. Un’agonia alla rovescia.

[Continua]

Pubblicato su Uqbar Love, N. 145 (23 luglio 2015), pag. 24.

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