“Coerenza”…
Questa parola viene dal latino cohaerens,
ovvero “(oggetto composito) che si mantiene intero”. Che l’essere umano sia
un “oggetto composito” è palese. Da cui, la sua perenne lotta per “mantenersi
intero”, per far quadrare il dire col fare, il piacere col dovere, il
sentimento con la ragione, l’idealismo con il realismo, il privato con il
pubblico, lo spirituale con il carnale e così via. Il fatto che la coerenza sia
tanto apprezzata (almeno, a parole) non è poi difficile da spiegare. Essere
scissi è doloroso – vale sia per il corpo che per la psiche. In più, si
apprezza il fatto di poter prevedere il comportamento di chi ci sta accanto, in
modo da non riceverne pugnalate alle spalle: da cui, il desiderio di vivere con
persone “coerenti”.
Ma è possibile essere interamente coerenti, quando si è esseri umani?
C’è
un celebre detto del poeta Walt Whitman, che fa anche da sottotitolo a questo
blog. In italiano, recita: “Mi contraddico? Certo che mi contraddico – sono
vasto; contengo moltitudini”.
Ecco, questo è il succo della
questione.
Ci
sono ambiti in cui la coerenza è imprescindibile. Quando si è stati eletti come
rappresentanti della cittadinanza, si è tenuti a fare proposte di legge coerenti col proprio programma politico:
altrimenti, si froderebbero gli elettori. Quando si è educatori o membri di un
ente morale, si è tenuti ad avere un comportamento coerente coi valori proclamati a parole: altrimenti, il proprio
ruolo non avrebbe più ragione di esistere.
Ma… cosa succede, ad esempio, quando
ci si innamora? O quando si fa amicizia?
“Sono
pazz* di te, ma non possiamo avere una storia insieme… Sei dalla parte opposta
della barricata!”
“Mi
hai aiutato nei momenti più difficili della mia vita… ma non voglio più
vederti, da quando sei stat* a quella manifestazione”.
Qualcosa,
a pelle, suona grottesco. Ed è
questo: seguire un affetto non è come comprare una data marca di pasta o
barrare un determinato simbolo. È qualcosa che sale dalla pancia – o, se preferite, dalla psiche profonda, dagli
strati sottostanti rispetto all’Ego e alla coscienza. Per esistere, un affetto deve rinunciare a un certo tipo di coerenza,
quello che è legato all’orgoglio, al pensiero cerebrale, all’attaccamento
al proprio io.
Sorvolo su quel genere di “coerenza”
che è mera testardaggine e rifiuto di riconoscere che si è mutati nella
sensibilità, che le esperienze fatte hanno aggiunto nuovi elementi alla propria
ottica e che le circostanze non sono le stesse che generarono le proprie
convinzioni. In questo caso, vale il detto: Il
saggio muta consiglio. Chi non fosse disposto a far ciò sarebbe simile a
chi volesse orientarsi nell’Europa odierna con una pianta dell’Impero austro-ungarico.
L’ambito esistenziale è il più
difficile da trattare, almeno per me. Perché esso riguarda tutto: le convinzioni etiche e/o politiche, i sentimenti, la
spiritualità – che è un’intersezione fra il cosciente e il subconscio. Chi si
appresta a “dare una svolta alla propria vita” deve riuscire a tenere insieme tutti i pezzi di sé. Ecco che entra in
gioco quella che, qui, chiamo in-coerenza.
Ovvero, quella forma di coerenza che non parte dall’ambito cerebrale (“io
la penso così, ergo agirò in tal modo”), ma da quello viscerale. L’in-coerente fa
tacere il chiasso dei pensieri, delle ansie e delle pressioni per ascoltare l’Impulso che guida il suo andare – che
l’ha sempre guidato, in realtà. Quando ci riesce, la direzione gli è subito
chiara – e sarà intero.
Parafrasando C. G. Jung, possiamo
dire che l’in-coerenza è questo:
“Rendi cosciente l’inconscio; altrimenti, sarà esso a guidarti e lo chiamerai
destino”.
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