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Bye al bey, ovvero "Quanto vaglian gl'Italiani..."


Qualche minuto a letto, col quaderno ad anelli e la stilografica, intanto che si sedimentano i pensieri –e i due panini demoliti in un attacco di fame ormonale. Sono grata a F., che mi ha regalato questa serata al Teatro Fraschini di Pavia. L'Italiana in Algeri: “dramma giocoso in due atti, di Giocchino Rossini, su libretto di Angelo Anelli” (1813). Il 15 novembre 2012 ha visto la coproduzione del Circuito Lirico Lombardo, del Teatro Coccia di Novara e dell’Alighieri di Ravenna. Molto efficace e briosa la regia di Pierluigi Pizzi. Francesco Pasqualetti ha diretto l’orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano.

            F. aveva deciso di vender cara la pelle per la postazione più comoda in loggione. Perciò, siamo arrivati al Fraschini con mezz’ora d’anticipo. Lungo le scale, lui si è lanciato in una corsa matta e disperatissima. E io dietro, a cercar di riguadagnarlo. Era destino che il pubblico dovesse ridere, ancor prima che iniziasse lo spettacolo.

            Mustafà (Abramo Rosalen, basso) è il bey di Algeri. Galletto del serraglio, si considera un domatore di belle. Invece, è lui ad aver troppa propensione per le grazie femminili. Ne approfitterà la livornese Isabella (Carmen Topciu, contralto), che otterrà la libertà per sé, per l’amato e per gli altri schiavi italiani. Una sorta di musical ante litteram, all’insegna dell’ “Italiani VS ‘Turchi’ ” (ma non erano algerini?). Anzi, del “Maschi contro femmine”. Il rifermento al moderno cinema commerciale non è troppo dissacrante, vista la trama. Al pubblico ottocentesco piaceva il trash roboante, in cui i nostri dirimpettai mediterranei erano tutti harem, pirateria e impalamento. Così, ben vengano le Mille-e-una-notte à la page, con danzatrici del ventre nient’affatto spregevoli. E una dama di mondo italiana, che è bella e fa fare agli uomini ciò che vuole. Perché sa che, in fondo, “tutti la bramano, tutti la chiedono… da vaga femmina felicità”. Sia concesso lusingarsi un po’, quando il corsaro Haly (Davide Luciano, basso) canta: “Le femmine d’Italia/son disinvolte e scaltre/ e sanno più dell’altre/l’arte di farsi amar.” Il concetto era sottolineato da una galleria di nudi femminili, dipinti con vena raffaellesca. Di questi tempi, in effetti, non ci possiamo gloriar di molto, oltre al patrimonio artistico. Quanto alla sapienza seduttiva, sorvolerei, dato il mio curriculum in “due di picche” ricevuti. Però, ammetto che Rossini e Anelli hanno trovato un modo molto gustoso d’esaltar l’italianità. Tanto che il regista ha voluto una pizza, sulla mensa a cui Mustafà deve “pappare e tacere”.

            Accarezzo la spalla di F. Chissà  cosa pensa di me come “Italiana in Algeri”. Poco importa. Mi concentro sulla scena. Lì, i nostri connazionali fan bella figura. Fuori dal teatro, incroceremo le dita. Mi piace pensare che, nella baldanza di Isabella, ci sia un po’ di quell’allegro marziale dell’Inno di Mameli. Di quell’incoscienza creativa che tiriamo fuori in alto mare (e che vada un po’ oltre Beppe Grillo o il revival anni ’20-’40, speriamo!). “Quanto vaglian gl’Italiani al cimento si vedrà.”

Fotografie di Pierino Sacchi.

 

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