Dopo averci incantato con la storia della regina longobarda Ansa e di suo marito Desiderio, Delfino Tinelli ci propone un'altra pagina a cavallo fra verità e leggenda: quella che ha valso a Brescia il soprannome di "Leonessa d'Italia".
Le Dieci Giornate
di Brescia - Con la treccia sul cuore (Brescia
2022, Editore Mannarino Franco) è il
secondo titolo della collana "Il nonno racconta", che raccoglie i
dialoghi di Delfino Tinelli coi nipoti.
Il sottotitolo
dell'opera cita un verso di una poesia di Angelo Canossi, L'Ésordio dè le Dés Zornade, compreso
nell'edizione definitiva di Melodia e congedo (1962, a cura di Aldo Cibaldi, Editrice
Istituzione della Memoria
"A. Canossi" Bovegno). Il componimento è narrato in prima persona dal protagonista, uno dei
tanti bresciani che combatterono sulle barricate nel 1849. Il personaggio parla al figlio di un episodio di
allora, quando lui era un giovane patriota
antiaustriaco. Portava la moschèta, un
taglio di barba che indicava proprio ribellione contro l'impero
asburgico. La moglie, temendo che i soldati austriaci gli facessero qualche angheria per questo, gli tagliò la moschèta contro la sua volontà. Lui, per
ripicca, le mozzò una treccia.
Dopodiché, i giovani coniugi non si parlarono più, fino allo scoppio delle
Dieci Giornate. Allora, l'uomo corse
a combattere e, sul cuore, portava proprio la treccia della moglie.
Dialogando con
"Leo" e "Maddi", nonno Delfino spiega il significato di
"quarantotto", sinonimo di
"baraonda". Il riferimento è al 1848, anno di numerose ribellioni
contro la carta politica disegnata
dal Congresso di Vienna (1815). Essa prevedeva, fra le altre cose, che l'Italia fosse divisa in tanti piccoli
Stati e che Brescia fosse sotto il dominio asburgico. Il Castello ospitava dunque una guarnigione di soldati austriaci e
il Comune doveva regolarmente versare
somme enormi per il suo mantenimento. Condizioni pesanti che non potevano certo essere sopportate in
eterno, a maggior ragione in un'epoca in cui andavano diffondendosi idee repubblicane che avrebbero portato
alla nascita di Stati nazionali sempre più simili
a quelli odierni.
Le Dieci
Giornate arrivarono con un anno di ritardo
rispetto agli altri moti, ma furono ricordate
per durata e ferocia.
Il
23 marzo 1849, il comandante austriaco richiese al Comune di Brescia il
versamento di 130000 svanziche (le
lire austriache dell'epoca). I due commissari che avevano riportato la richiesta (racconta Tinelli) furono però
fatti prigionieri dalla folla indignata. Così pure i bresciani assalirono carri pieni di rifornimenti per la guarnigione. I militari austriaci
risposero bombardando la città
dal Castello; le campane suonarono in segno di chiamata alle armi contro i soldati
asburgici. Questi rumori
furono la colonna
sonora di quei dieci giorni. “Nonno Delfino” li racconta con
precisione cronachistica, soffermandosi sui loro protagonisti. Pensiamo, per
esempio, a Tito Speri, che combatté sia sui “Ronchi” che sulle barricate in
città; a don Pietro Boifava, che comandava bande di ribelli sempre sui
“Ronchi”; a Carlo Zima, arso vivo dai soldati asburgici per rappresaglia, ma
che riuscì a far bruciare con sé uno dei nemici. Naturalmente, l’autore
menziona la grande partecipazione delle donne. Ancorché poco “pubblicizzate”, Teresa
Zambelli e Serena Radice (per citarne solo due) trovarono la morte nel
tentativo di salvare dieci bambini del Collegio Guidi, durante l’irruzione dei
militari.
Fra storia, aneddoti e orrori,
l’autore dipinge lati poco conosciuti di quelle giornate con la sua competenza
e semplicità di ex-maestro e direttore scolastico. Avere un nonno che sa
raccontare la Grande Storia è una fortuna; in questo caso, una fortuna di
tutti.
Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 186 (dicembre 2022), p. 7.
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