“Quando
i due compagni furono partiti, prese anche lui una vecchia bicicletta e andò
via. Era contento che fosse il Comandante a mandarlo dalla ragazza.
Quella che invece non parve contenta
fu proprio lei, quando la raggiunse nella strada fra i campi verso casa sua.
Tornava dal paese sotto la pioggia, con l’ombrello aperto. «La Disperata» le
arrivò dietro, smontò dalla bicicletta, le disse: - Buonasera. Come stai? - La
ragazza diventò tutta rossa, mormorò irresoluta: - Sei tu? - e aggiunse: -
Fermiamoci qui. A casa mia non possiamo andare. - Prendimi almeno sotto l’ombrello,
- pregò «La Disperata», ma davanti a quella faccia scontrosa gli sparì la
voglia di darle un bacio.
-
La sera del primo dell’anno, - disse lei, esitante, girando in tondo il manico
dell’ombrello, - dopo che tu fosti partito, il babbo e i fratelli andarono a
giuocare da un contadino che sta laggiù, - fece un gesto vago verso la valle
invisibile dietro la nebbia. - Sul ponte del Guado hanno trovato cinque
tedeschi morti -. Si fermò ad aspettare una risposta, un commento, una
conferma, ma «La Disperata» non disse niente. Lei proseguì: - Avevano ancora i
fucili, lì vicino, ma loro erano nudi. - Nudi! - esclamò «La Disperata». - Come
si tengono sempre pronti i ladri. Qualcuno è passato prima del tuo babbo. - Il
babbo e i fratelli - continuò la ragazza, - pensarono che se fossero arrivati i
tedeschi, avrebbero dato fuoco al paese. Allora tornarono a casa a prendere i
badili, scavarono una fossa e seppellirono i cinque morti e i fucili -. L’acqua
frusciava sopra l’ombrello; lei s’interruppe un momento, poi sussurrò piano
cercando le parole: - Il babbo dice che sei stato tu, - (anche questa volta «La
Disperata» non disse né sì né no). - Il babbo dice: non avrei mai creduto che
un buon ragazzo quieto come Antonio facesse il partigiano; in mezzo alla valle
ho saputo che ce ne sono tanti. Ma noi dei partigiani non vogliamo saperne, non
vogliamo che i tedeschi ci ammazzino. Così mi ha proibito di venire con te e di
farti entrare in casa.
«La
Disperata» stette un poco a pensare, poi disse: - Io sono un grande imbecille.
Non m’ero accorto che hai un babbo e dei fratelli che vanno bene in tempo di
pace. Gente da cantina, uomini da paura. Ma tu, che cosa pensi?
-
Penso che hanno ragione, - disse lei, contrita. - Anch’io ho paura. - Allora me
ne vado, - disse «La Disperata». - Ti saluto e non verrò più. Forse dopo,
quando sarà finita la guerra, tornerò a chiedere se mi vuoi. Poi vedremo -.
Parlava con molta calma, appoggiato alla bicicletta, non sentiva nessun
dispiacere, soltanto una specie di compassione verso quella gente che non
capiva niente. - Arrivederci, - concluse, e montò in sella, fece pochi metri,
poi si pentì e tornò indietro: - Ero venuto per parlare della barca. Volevo
chiedere a tuo padre se me la vende -. Tirò fuori dalla tasca i biglietti da
mille avvolti in carta di giornale, li tenne stretti in mano. - Avevo voglia
anche di darti un bacio -. La prese contro di sé, col braccio libero, si chinò
un poco per baciarla. - Accidenti alla guerra, - disse, e l’abbracciò più
forte, serrando fra loro, confusamente, il manico dell’ombrello. Lei sentì il
petto schiacciarsi sopra una cosa dura, si fece male, capì che cosa era e si
sciolse con uno strappo. - Hai la pistola? - mormorò. - Va’ via, va’ via
subito. Torna indietro per la strada, non passare davanti a casa mia -. «La
Disperata» rimise il denaro in tasca: - Di’ a tuo padre che non me ne importa,
ma che non si sogni neppure di lasciarsi scappare una parola del ponte e dei
morti. Non ci sono soltanto i tedeschi che ammazzano. Diglielo. E digli anche
che la barca la requisisce il comando della brigata. Tanti saluti -. Rimontò in
bicicletta. Questa volta se ne andò senza voltare la testa.
Era
tutto bagnato, depresso e stanco. Sulla strada del paese non c’era nessuno. Lui
andava forte, pensava tante cose amare: «Tornerò quando è finita la guerra, se
sarò vivo. Allora mi vorrai, e anche tuo padre sarebbe contento. Ma io dirò: ‘Voi
non volevate saperne di partigiani, io sono un partigiano, e adesso sono io che
non voglio saperne di voi, gente senza sangue’. Anche allora gli dirò: ‘Tanti
saluti’ come oggi». Si consolava così, e andava più forte che poteva. «Sarebbe
bella che mi acchiappassero i tedeschi, e mi facessero fuori per via della
pistola, - pensava- - Per colpa di quella là: non ha voluto che passi davanti a
casa sua. Non capiscono niente, e noi combattiamo anche per loro, e ci
rimettiamo la pelle. Va’ all’inferno!»”
RENATA VIGANÒ
Da: L’Agnese va a morire, 1949. (Edizione citata: Torino 1994, Einaudi,
pp. 192-194).
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