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Sul rogo del tempo

“Bruciare la vecchia”: niente a che vedere coi famosi roghi di streghe, ma una tradizione molto più antica. Essa si riallaccia ai “falò d’inizio anno” diffusi nell’Italia nordorientale, alla vigilia dell’Epifania o a metà Quaresima. Già gli antichi Celti accendevano fuochi per propiziarsi le divinità e bruciavano un fantoccio che indicava il passato da lasciarsi alle spalle. Gli antichi Romani portavano in processione il simulacro di Anna Perenna (divinità femminile agricola di dubbia origine) e la gettavano poi nel Tevere. Questo tipo di pratiche sono, al contempo, riti di fertilità (la natura si rinnova, lasciandosi alle spalle l’inverno e l’anno vecchio) e una versione del “capro espiatorio” (liberazione delle colpe della comunità). Durante la Quaresima cristiana, questa sagra serve anche come pausa da fioretti e astinenze. 

            A Manerbio, ogni anno, si “brucia la vecchia” nel giorno del giovedì grasso. Nel 2017, il rito ha avuto luogo il 23 marzo, all’Oratorio “San Filippo Neri”. Come vuole la tradizione, il rogo è stato preceduto da un banchetto: erano disponibili il “piatto della Vecchia” (trippa “agli antichi sapori”, acqua e dolce) e il menu “Il Rogo” (casoncelli al burro versato, cotoletta con patatine o verdura, acqua e dolce), oltre a patatine e all’immancabile “pa e salamìna”.
Nel cortile dell’oratorio, ha poi avuto luogo il processo alla Vecchia. Il giudice Tomtom Battilamazza si è trovato ad ascoltare le argomentazioni dell’accusa (avv. Bianca Lingualunga) e della difesa (avv. Romana Saltimbocca). L’avv. Lingualunga ha chiamato a testimoni nientemeno che Onestina Senzamacchia, la signora Bellagioia e Santino Angioletti: con cotanti nomi, non potevano che essere garanzie di verità. Hanno giurato di aver visto e sentito la Vecchia (figura dai lunghi capelli corvini e dalla dubbia femminilità) rubare i cioccolatini agli anziani, dire parolacce irripetibili e altri consimili crimini. Naturalmente, essendo la Vecchia la sintesi di tutto il male possibile per definizione, la difesa non ha avuto un granché da dire. La serata è pertanto proseguita come voleva il rito: i presenti si sono avviati verso il campo da calcio dell’oratorio, dove era stata allestita la pira. In cima, campeggiava un fantoccio dalla forma vagamente femminile e accompagnato da una scopa di saggina (classico strumento da strega e da Befana). Una serie di bancali sovrapposti costituiva il combustibile. Il fuoco, dapprima timido, ha poi consumato il legno e avvolto il fantoccio, investendo anche i presenti con ondate di calore nella notte fresca. Alcuni bambini urlavano, impazienti (per ragioni che forse nemmeno loro conoscevano) di veder bruciare il pupazzo. Per quanto si avesse a che fare con semplice paglia, l’immagine del falò che consumava la Vecchia aveva davvero qualcosa di liberatorio. Potere dei simboli. 

Paese Mio Manerbio, N. 119 (aprile 2017), p. 8.

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