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Mille Miglia



Polenta, maiali e Mille Miglia. Questo, più o meno, è il sunto dell’identità bresciana nel resto d’Italia. Perciò, giusto per non farmi mancare neppure un tassello dello stereotipo, sono andata a godermi l’arrivo delle auto d’epoca a Manerbio.

            Una curiosa disposizione celeste l’aveva fatto coincidere con la finale della Champions League. Ciò aveva alquanto scremato il pubblico: molti manerbiesi, anziché pensare alla corsa, si erano parcheggiati davanti al televisore. A salutare i piloti c’erano gli appassionati duri e puri, gli anziani nostalgici, le famigliole e qualche curioso come la sottoscritta, che non distinguerebbe una ruota da un pouf, ma si ficca in ogni evento rumoroso. Pazienza per il mancato studio: per una sera, il Menippo di Luciano sarebbe andato sulla Luna da solo.

            Io, invece, ero accompagnata da mio padre, l’Enciclopedia Multimediale della situazione. Già mi descriveva le sensazioni: il rombo, i clacson, l’odore dell’olio bruciato. Mi sono chiesta quanto sarebbe stato simile a quello che saliva dalle cucine collegiali, ai tempi delle “grandi fritture”.

            Ciò di cui m’importava sul serio erano le curiosità tipiche di questa ristampa anastatica delle corse d’antan. Volevo vedere, vicino ai bolidi quasi attuali, i gioiellini degli anni ’30-’40. Non sono rimasta delusa. Ecco i fari rotondi, le carrozzerie da scarabeo, le capote… Diversi (avrei giurato) erano i cloni dell’auto di Fred Flintstone.

            Ognuno di quei ricordi rombanti sollevava un nugolo d’applausi ed acclamazioni. Una manna tanto generosa da riversarsi anche sui furgoni degli assistenti, sui medici di gara o, semplicemente, su chi si intrufolava con quattro ruote nel momento di gloria. Ad ogni modo, una festa: per i piloti, al termine delle fatiche; per i ragazzini, che sognavano motori; per i bambini, che si ritrovavano in cartoni animati reali. Infine, una festa per me, che pregustavo questa pagina scritta.

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