I due artisti avevano creato
vortici di linee su sfondi dai colori vivaci. Ogni forma era volutamente
astratta e non riconducibile a qualcosa di reale. Proprio questo permetteva
alla mente di riconoscere le figure di Centauri, guerrieri, Minotauri e
qualsiasi fusione tra immagini umane e "altro". Più familiare era una
variopinta scultura a forma di cavallo: il suo nome era proprio
"Mythos" ed era un'allusione a Pegaso.
La fantasia coinvolgeva anche
elementi d'arredo. Tre lampade dai paralumi colorati lasciavano pendere alcuni
fili al modo delle fronde di rampicanti, come se si fossero trasformate in
piante. Una torre di rosse tazze, teiere e piattini omaggiava Dioniso, il dio
delle buone bevute.
Tra i dipinti, alcuni intrecci di linee astratte simulavano esotiche ballerine. Una coppa scoppiava come se fosse il corno dell'abbondanza. Una figura apparentemente femminile reggeva un piatto di bilancia, come se fosse l'allegoria della Giustizia. Da una grande testa, si allungavano arti irreali. Un Perseo-manichino reggeva la testa di una Medusa alquanto felina.
Da segnalare era un grande collage
di ritagli di riviste e impronte di vernice, i cui strappi rivelavano dipinti
di Botticelli e Caravaggio. "I grandi miti narrati dall'arte si
manifestano anche nella chiassosità quotidiana" sembrava dire.
Questi sono solo esempi della
favolosa varietà di forme partorite dai due artisti. Del resto, il mito muta
sempre... e non muore mai.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 216 (giugno 2025), p. 10.
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