Non a caso una stupefacente bambola
meccanica è al centro di un famoso e tenebroso racconto di E.T.A. Hoffmann, L’uomo della sabbia (Der Sandmann). Correva l’anno
1815; nei libri di letteratura, quel periodo è contrassegnato come “romantico”.
Questa stagione dà vita anche a una produzione di racconti gotici e fantastici;
questi ultimi, in particolare, si concentrano sulle situazioni inquietanti prodotte
dall’ambiguità fra realtà e illusione. Gli strumenti ottici e le abilità
meccaniche hanno un ruolo non indifferente nel creare tale ambiguità,
soprattutto agli occhi di chi ha subito traumi infantili. Già, gli occhi…
Quelli che Nathanael, da piccolo, temeva di vedersi strappare dall’Uomo della
Sabbia, lo spauracchio con cui gli adulti lo convincevano ad andare a letto
presto. Peccato che, per la casa dei suoi genitori, si aggiri lo sgradevole
Coppelius, un amico di famiglia che ha tutti gli attributi per impersonare l’Uomo
della Sabbia. A maggior ragione perché spaventa a morte il bimbo, “colpevole”
di aver spiato una delle sue visite notturne (Coppelius e il padre di Nathanael
si dilettano d’alchimia in segreto).
Una volta adulto, il protagonista
non è certo guarito. Lo sembra, in superficie; ma, dentro di lui, quell’antico
bimbo terrorizzato rimane il nucleo della sua personalità. Neppure Coppelius
(o, quantomeno, il suo fantasma) se n’è andato: Nathanael lo rivede in Coppola, un ottico piemontese che vende
occhiali e binocoli. Proprio grazie a un binocolo, il giovane intravvede
Olimpia: la presunta figlia del professor Spalanzani, un amico di Coppola. Se
ne innamorerà, purtroppo per lui: perché Olimpia è una bambola meccanica, i cui
occhi di vetro sono stati fabbricati proprio dal lugubre ottico. Vi lascio
immaginare il resto: la scoperta di Olimpia con le orbite vuote, la follia di
Nathanael che non riesce più a distinguere una donna da un automa… Del resto,
chi non impazzirebbe, scoprendo che la persona amata, in realtà, non è mai esistita? Un’esperienza meno
fantasiosa di quanto si possa credere. Peraltro, oggi vanno di moda le storie di uomini che sposano bambole a grandezza naturale. Sono realmente più sani di
Nathanael? Perlomeno, affrontano la situazione con più filosofia.
Delizioso e assai meno tetro di Der Sandmann è il balletto che ne fu
tratto nel 1870, con musiche di Léo Delibes: Coppelia. Qui, l’affascinante
bambola è la “figlia” di Coppelius; il giovane innamorato è Franz e, per poco,
l’alchimista “padre” non riesce a sottrargli la vita per trasfonderla nell’automa.
Ma tutto finisce bene, con un bel matrimonio tra Franz e la sua fidanzata in
carne ed ossa. Trattandosi di un balletto, l’aspetto più affascinante è l’abilità
di riprodurre i movimenti delle raffinate creazioni di Coppelius, che (in una
scena) danzano tutte insieme. Anche la fidanzata di Franz, a un certo punto,
deve farsi credere una bambola meccanica, per salvare se stessa e il giovane… L’ambiguità
tra vita naturale e vita artificiale stupisce e incanta il pubblico, nello
spazio sicuro del palcoscenico – che contiene la finzione, impedendole di
scivolare nella follia.
Nel XX secolo, il tema dell’automa
diventa distopia fantascientifica. Emblematico
è il film Blade Runner (1982), dove il protagonista deve “ritirare”
(uccidere!) replicanti ormai disobbedienti agli umani. Ma l’amara verità è che
quelle “bambole” sono ormai capaci di pensiero e sentimento, esattamente come
lui… Può davvero affrontarle con l’indifferenza riservata agli oggetti?
Non ci dilunghiamo con altri esempi.
Dal fantastico romantico, la tematica si è trasferita alla fantascienza e una
qualsiasi opera (di cinema o di letteratura) all’interno di questo genere
potrebbe fare al caso nostro. Potremmo anche citare la serie americana Westworld, iniziata nel 2016… o i robot
di Asimov…
Ci sembra però più curioso
menzionare un personaggio inusuale per la sua collocazione: Scaramouche, dal videogioco Genshin Impact. Deve il suo nome
alla maschera di Scaramuccia, nato Scaramuzza, a Napoli: un fanfarone
litigioso, sempre vestito di nero come i soldati spagnoli di stanza nella città
partenopea. Data la grande fortuna che ebbe in Francia, lo ricordiamo come
Scaramouche. Divenne anche una marionetta.
La sorpresa è ritrovarlo in una produzione cinese: il videogioco suddetto. Dove
mai vanno a ficcarsi le maschere italiane…!
In Genshin Impact, Scaramouche è proprio una raffinatissima
marionetta, indistinguibile da un essere umano. È nato come esperimento di
tecnologia; ma ha presto rivelato una sensibilità e una tristezza inaspettate…
Insomma, per inanimati che siano i
materiali usati, è quasi impossibile che una creazione non prenda a suo modo
vita. È troppo carica di aspettative, intelligenza e desideri proiettati su di
essa dagli autori per essere “un oggetto qualunque”. Se è impossibile che una
bambola viva realmente, non si può dire lo stesso di quella parte di noi che
essa rappresenta. Un simulacro è il
riempimento di un nostro vuoto. Coppelia riempiva i sogni d’amore
impossibili di Franz e il desiderio di paternità di Coppelius; i replicanti
riempivano il bisogno inconfessato di schiavi… Se risultano così terribili, non
è solo perché c’ingannano col loro aspetto. È anche perché la loro esistenza
denuncia l’incapacità di relazionarsi
con l’altro come persona eguale a noi. Ti
costruisco perché tu mi soddisfi, perché hai le capacità di una persona senza
essere cosciente come tale. Cosicché ti posso usare. Sarai sempre ciò che io
voglio. La persona vera è quella autocosciente:
quella capace di dire io e tu, sì e no. Almeno finché
anche la bambola non sviluppa una consapevolezza tutta sua… lo specchio della
nostra coscienza sporca.
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