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Come fossi una bambola...

coppelia
Provate a pensare alle storie incentrate su una bambola o su un automa che sembra una persona vera. Il panorama è ampio, vero? Il tema è vivo e inquietante, almeno da quando le tecnologie umane sono in grado di imitare discretamente la vita. Creare un essere che ha un volto e si muove può essere entusiasmante: unisce la commozione del diventare genitori al compiacimento per le proprie capacità. Ma, se la vita può essere prodotta dalle mani e dagli strumenti… che senso ha distinguere una persona da un oggetto? Cosa siamo davvero noi? Cos’è quella che chiamiamo “anima”? 

            Non a caso una stupefacente bambola meccanica è al centro di un famoso e tenebroso racconto di E.T.A. Hoffmann, L’uomo della sabbia (Der Sandmann). Correva l’anno 1815; nei libri di letteratura, quel periodo è contrassegnato come “romantico”. Questa stagione dà vita anche a una produzione di racconti gotici e fantastici; questi ultimi, in particolare, si concentrano sulle situazioni inquietanti prodotte dall’ambiguità fra realtà e illusione. Gli strumenti ottici e le abilità meccaniche hanno un ruolo non indifferente nel creare tale ambiguità, soprattutto agli occhi di chi ha subito traumi infantili. Già, gli occhi… Quelli che Nathanael, da piccolo, temeva di vedersi strappare dall’Uomo della Sabbia, lo spauracchio con cui gli adulti lo convincevano ad andare a letto presto. Peccato che, per la casa dei suoi genitori, si aggiri lo sgradevole Coppelius, un amico di famiglia che ha tutti gli attributi per impersonare l’Uomo della Sabbia. A maggior ragione perché spaventa a morte il bimbo, “colpevole” di aver spiato una delle sue visite notturne (Coppelius e il padre di Nathanael si dilettano d’alchimia in segreto).

            Una volta adulto, il protagonista non è certo guarito. Lo sembra, in superficie; ma, dentro di lui, quell’antico bimbo terrorizzato rimane il nucleo della sua personalità. Neppure Coppelius (o, quantomeno, il suo fantasma) se n’è andato: Nathanael lo rivede in Coppola, un ottico piemontese che vende occhiali e binocoli. Proprio grazie a un binocolo, il giovane intravvede Olimpia: la presunta figlia del professor Spalanzani, un amico di Coppola. Se ne innamorerà, purtroppo per lui: perché Olimpia è una bambola meccanica, i cui occhi di vetro sono stati fabbricati proprio dal lugubre ottico. Vi lascio immaginare il resto: la scoperta di Olimpia con le orbite vuote, la follia di Nathanael che non riesce più a distinguere una donna da un automa… Del resto, chi non impazzirebbe, scoprendo che la persona amata, in realtà, non è mai esistita? Un’esperienza meno fantasiosa di quanto si possa credere. Peraltro, oggi vanno di moda le storie di uomini che sposano bambole a grandezza naturale. Sono realmente più sani di Nathanael? Perlomeno, affrontano la situazione con più filosofia.

            Delizioso e assai meno tetro di Der Sandmann è il balletto che ne fu tratto nel 1870, con musiche di Léo Delibes: Coppelia. Qui, l’affascinante bambola è la “figlia” di Coppelius; il giovane innamorato è Franz e, per poco, l’alchimista “padre” non riesce a sottrargli la vita per trasfonderla nell’automa. Ma tutto finisce bene, con un bel matrimonio tra Franz e la sua fidanzata in carne ed ossa. Trattandosi di un balletto, l’aspetto più affascinante è l’abilità di riprodurre i movimenti delle raffinate creazioni di Coppelius, che (in una scena) danzano tutte insieme. Anche la fidanzata di Franz, a un certo punto, deve farsi credere una bambola meccanica, per salvare se stessa e il giovane… L’ambiguità tra vita naturale e vita artificiale stupisce e incanta il pubblico, nello spazio sicuro del palcoscenico – che contiene la finzione, impedendole di scivolare nella follia.

            Nel XX secolo, il tema dell’automa diventa distopia fantascientifica. Emblematico è il film Blade Runner (1982), dove il protagonista deve “ritirare” (uccidere!) replicanti ormai disobbedienti agli umani. Ma l’amara verità è che quelle “bambole” sono ormai capaci di pensiero e sentimento, esattamente come lui… Può davvero affrontarle con l’indifferenza riservata agli oggetti? Fra l’altro, in quel futuro poco augurabile, la vita artificiale ha pressoché sostituito ogni forma di vita animale. Ha davvero senso distinguerle, ora? Quanto ci vorrà affinché i replicanti rimangano gli unici abitanti della Terra? Affinché diventino loro le persone vere?

            Non ci dilunghiamo con altri esempi. Dal fantastico romantico, la tematica si è trasferita alla fantascienza e una qualsiasi opera (di cinema o di letteratura) all’interno di questo genere potrebbe fare al caso nostro. Potremmo anche citare la serie americana Westworld, iniziata nel 2016… o i robot di Asimov…

            Ci sembra però più curioso menzionare un personaggio inusuale per la sua collocazione: Scaramouche, dal videogioco Genshin Impact. Deve il suo nome alla maschera di Scaramuccia, nato Scaramuzza, a Napoli: un fanfarone litigioso, sempre vestito di nero come i soldati spagnoli di stanza nella città partenopea. Data la grande fortuna che ebbe in Francia, lo ricordiamo come Scaramouche. Divenne anche una marionetta. La sorpresa è ritrovarlo in una produzione cinese: il videogioco suddetto. Dove mai vanno a ficcarsi le maschere italiane…!

            In Genshin Impact, Scaramouche è proprio una raffinatissima marionetta, indistinguibile da un essere umano. È nato come esperimento di tecnologia; ma ha presto rivelato una sensibilità e una tristezza inaspettate…

            Insomma, per inanimati che siano i materiali usati, è quasi impossibile che una creazione non prenda a suo modo vita. È troppo carica di aspettative, intelligenza e desideri proiettati su di essa dagli autori per essere “un oggetto qualunque”. Se è impossibile che una bambola viva realmente, non si può dire lo stesso di quella parte di noi che essa rappresenta. Un simulacro è il riempimento di un nostro vuoto. Coppelia riempiva i sogni d’amore impossibili di Franz e il desiderio di paternità di Coppelius; i replicanti riempivano il bisogno inconfessato di schiavi… Se risultano così terribili, non è solo perché c’ingannano col loro aspetto. È anche perché la loro esistenza denuncia l’incapacità di relazionarsi con l’altro come persona eguale a noi. Ti costruisco perché tu mi soddisfi, perché hai le capacità di una persona senza essere cosciente come tale. Cosicché ti posso usare. Sarai sempre ciò che io voglio. La persona vera è quella autocosciente: quella capace di dire io e tu, sì e no. Almeno finché anche la bambola non sviluppa una consapevolezza tutta sua… lo specchio della nostra coscienza sporca.




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