Passa ai contenuti principali

Pane, salame e allegria

Il bresciano “salàm”, in arabo, suonerebbe come “pace”. Questo ha sottolineato la vicesindaca di Manerbio, Nerina Carlotti, all’ottava edizione della Festa del Salame (8 aprile 2017). Un gioco di parole che, di etimologico, non ha niente, ma che è suggestivo. È infatti facile fare pace e festeggiare, davanti a qualche fetta di salame nostrano. Lo sanno bene Antonella Gennari e Giovanna Rongoni, titolari del Bar Borgomella e organizzatrici dell’evento. Come ogni anno, hanno invitato gli allevatori della zona a presentare a concorso i salami da loro confezionati. A giudicarli, è stata chiamata una giuria composta da membri dell’ONAS, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Salumi. A presiedere detta giuria, c’erano Michele Bertuzzi e Silene Tomasini. 
            Il rito dell’assaggio è molto accurato; passa per l’esame di tutti e cinque i sensi. Anche il modo di affettare il salame non può essere casuale (taglio a mano; assolutamente bandita l’affettatrice). Lo scopo è quello di valutare le peculiarità di ciascun prodotto. Non c’è un salame uguale a un altro; quello tipicamente bresciano è diverso (per esempio) dai salami di Milano e di Cremona. La varietà dei salumi in Italia è incalcolabile, ha sottolineato Bertuzzi. Cosa che vale per ogni prodotto regionale. Un fatto di cultura locale, ma anche di natura (qualità della vita dell’animale, caratteristiche del terreno impiegato in agricoltura…). 

            Alla gara dell’8 aprile 2017, sono stati classificati i primi dodici salumi. Sul podio ideale, sono saliti: Matteo Pennati (terzo classificato), Giambattista “Giambi” Mondolo (secondo) e Giorgio Bolentini (primo). Al vincitore assoluto, è stata assegnata una bicicletta. A tutti gli altri, è stato donato un cavatappi (per stappare il buon vino da accompagnare al salame?). La giuria, in ogni caso, si è complimentata per la qualità dei prodotti, migliorata rispetto agli scorsi anni.

            È seguita la degustazione collettiva dei salami in concorso, con tanto di pane e formaggio. Per l’occasione, si sono presentate anche due bancarelle di generi alimentari locali (latticini, salumi, casoncelli di Barbariga). Per parafrasare Nerina Carlotti: “salàm” a tutti.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i