Passa ai contenuti principali

L'eccezione e la regola


La sera del 12 gennaio 2013, al Politeama di Manerbio, è stato replicato il musical Forza venite gente. Terzo titolo inscenato dai ragazzi dell’oratorio "S. Filippo Neri". E, per una volta, ero in platea, anziché con loro. I ricordi erano freschissimi, anche se la compagnia Suzao – Vivere insieme, stavolta, ha collaborato con l'Action Crew for Jesus. Molti volti erano nuovi, ma avevan resistito le “vecchie glorie”.
            Quando ero nel cast, pensavo alle battute, all’emozione e al calore del lavorare tutti insieme. Essere spettatrice mi ha fatto godere il frutto di tutto questo. Sarà stata una mia impressione, ma le coreografie dovevano aver acquistato maggiore complessità.
            A parte ciò, mescolarmi alla platea mi ha fatto un altro effetto. Quello di restituirmi l’occhio dell’ “uomo comune”. La vita romanzata di S. Francesco scorreva davanti a bisbigli, risate apprezzanti e furtive lacrime. Con la sensazione sempre meno incerta che… sì, si fosse là ad applaudire il poverello d’Assisi, ma che si somigliasse molto più a suo padre. “Qui, non si fa credito a nessuno”; “Non so che gusto ci sia a essere poveri”; “Bisogna farsi furbi”; “Fatti una famiglia, lavora, sistemati: questo si deve dire ai figli!”; “Chiedere? Troppo comodo, sorella!” E via di questo passo. Poi, le tematiche si allargarono: la violenza personale, la guerra, l’alimentazione, gli slanci volontaristici… Sempre più, pareva di vedere Sigmund Freud far capolino, con le sue parole famose: “ ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’. […] Proponiamoci di adottare verso di essa [pretesa] un atteggiamento ingenuo, come se ne sentissimo parlare per la prima volta. Impossibile in tal caso reprimere un senso di sorpresa e disappunto. […] Il mio amore è una cosa preziosa, che non ho diritto di gettar via sconsideratamente. […] l’uomo non è una creatura mansueta […] occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. […] La civiltà deve far di tutto per porre limiti alle pulsioni aggressive dell’uomo […] di qui, anche il comandamento ideale di amare il prossimo come se stessi”. (1) Mai lessi più bell’elogio a religione, morale e idealismo di questo.
Qui sta il punto. La “regola” seguita dal “mondo” finisce per distruggere: ecco che reagisce l’ “eccezione”. La società mercantile del XIII secolo valorizza il profitto, l’intraprendenza dell’individuo, l’homo homini lupus: ecco che Francesco butta tutto all’aria, coi suoi pauperismo, fratellanza e pacifismo alla radical Gospel. Buona idea, quella di far narrare la storia al Lebbroso: simbolo di tutti i “non integrati” che non hanno alcunché di chic. L’emarginazione vera è dolore, disgusto da parte degli altri e amarezza per se stessi. Abbracciando il Lebbroso, Francesco commise un atto dirompente, che nessuno applaudì (e non senza motivo). Troppo facile santificare, col senno di poi. Le sfide, semmai, andrebbero abbracciate nel momento in cui scottano. Quando sono ancora uno schiaffo alla logica costituita.
Ordinariamente, la gente si assesta su posizioni poco francescane. Ci sono quelli che si barcamenano benone, fra Dio e Mammona: riveriscono S. Francesco e imitano suo padre. Ci sono quelli che fanno della “povertà” una griffa. Anche i poveri veri non sono certo come la candida “Cenciosa”. Diversi lo sono di mestiere. O induriti e affilati dal bisogno. O si nascondono nei panni puliti d’uno studente, d’un padre o d’una madre di famiglia.
Lasciamo stare, poi, cosa si dovrebbe dir di chi dipinge Cristo, Chiara, la Madonna e Francesco come babbei da sacrestia: zuccherini con cui calmare i bollenti spiriti, piuttosto che modelli. Non parlo, ovviamente, della Suzao, né dell’Action Crew for Jesus, ma di tutta un’agiografia di maniera che ha tolto queste figure dal proprio contesto storico-sociale e le ha rese manichini. Perché è questo che succede, quando si vuol trasformare l’ “eccezione” in una “regola”.


(1)    Sigmund Freud, “Il disagio della civiltà” (1929), cap. 5, in: Il disagio della civiltà e altri saggi, (“Gli Astri”), Torino, 2010, Bollati Boringhieri (trad. dal tedesco di Ermanno Sagittario), pagg. 244-247.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio