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Vincenzo Calò legge Lucianna Argentino

"Lucianna Argentino - Le stanze inquiete (La Vita Felice ed.)

Lucianna desiderava che rimanessero indelebili delle microesperienze ricavate per più di un decennio riscontrando la gente quando fa la spesa; provando a ricordare principalmente certi esseri, detti “umani”, che per forza di cose si sono avvicinati a lei, così presa da ciò che appuntava delicatamente,  ch’eccedeva in formato tascabile, da una veste professionale. 

Questa poetessa era ignara del personaggio che gli si poneva davanti, conscia semmai del fatto ch’era vicina a toccare una condizione privata, immaginare una vita ch’esigeva senza ammetterlo magari dignità, premura e cortesia; col pudore che di tanto in tanto esce fuori, sortendo brillantemente l’opportunità di riprendere a osservare, e quindi a reinventare l’anima, concentrandosi concretamente sulle cose pregne d’assenza, ligia al dovere nel compiere una qualsiasi attività, purché chiunque riesca a trattenersi l’Io, per il bene del suo, tra le teorie segnalatrici dell’assoluto.

Con Lucianna è intenso aspettare di cogliere tra righe d’orizzonte la tangibilità che ci attornia, sentendo di una poesia l’originale dimora, barcollando sulla linea di demarcazione che scinde il linguaggio dall’incanto.

Il parlare in maniera anomala ma totalizzante del periodo passato in un supermercato, in un ambito occupazionale non entusiasmante in fondo, comporta anche il limite, il segno di una lesione carnale, che guarda caso motiva la composizione dell’autrice; nervosamente provata sì, però vigile nello scorgere l’imperativo personale, che vale eccome la pena assumersi, tra il particolare che ci attualizza e l’impressione che ci armonizza.

E’ importantissimo vedere l’esistenza che serbiamo, e decidere con fare convinto e continuo davvero di riprodurne il significato tramite il piacere di ritenersi utili; e con quella forza di tacere, da elevare in gloria, che lega la poetessa all’umanità senz’alcun inganno, pur essendo difficile lasciarsi trascinare dall’ispirazione quando è semplice invece definirsi artisti della parola, apprendendo e basta, pur senza impartire lezioni millantando una laurea.

D’altro canto, chi non è in grado di assorbire una comunicazione non può mai verseggiare!
                                                                                                                              
La certezza che permanga dell’essenza volgerebbe al patimento, con cui ci distinguiamo tra l’umanità e l’appartenenza terrena, come a tutelare delle debolezze, lungi dalla bellezza di un contatto.

Un verso ridà coraggio per proseguire, ma con della sincerità che non ci riporta all’inizio di ogni avventura, se siamo sprofondati in un’epoca inconcludente, se stiamo a vagare per della buona sostanza, nella stressata fisicità del tempo; a riprova dell’elemosiniere che implora per del dialogo deturpabile di respirare una bella giornata.

“nel corpo stanco delle ore”

La quotidianità la si colma dimostrando d’esserne all’altezza, ricaricando gl’individui con la spensieratezza d’intuito, affinché ci si rincuora (e non v’è legge che tenga), specie dal disconoscere l’immagine di un affetto imprescindibile, dal rischio di risultare avari di spirito e quindi in preda ai quesiti stupidi che si rendono subito dei tormentoni di successo.

Trasmettere positività è fantastico se te lo evidenziano mentre le ore si fermano alla narrazione di una malattia che scava coloro che s’intestardiscono per della cattiva sorte, così orgogliosi della propria identità da richiedere nient’altro che favori.

Indifferenti magari all’oscura emotività di quando si è immaturi, perché si aspira alla bontà d’animo senza cercare di vivere un percorso; recuperando i pensieri in via di esaurimento, sul punto di piangere, di suscitare sdegno da bestiole che si sentono in potere di svolazzare, facendo scoprire determinanti nozioni scientifiche a proposito del pianeta Terra, da cui non ci distacchiamo mai.

Lo scrivere di Lucianna si accalora se dall’intento apposito se ne trae refrigerio, ne vale l’onestà che tutto fa tornare, di chi tenta di condividere un pensiero; soprattutto con una pargola che la scruta per poi confessarle quanto sia determinante la sua presenza di un attimo e poco più, teneramente, spuntando tra certi giovani che preferivano giocare senza venire al mondo per non subire dei volgari rimproveri.

In un didentro che all’istante ti rigenera il dove da sensibilizzare, che, se ti fermi, contiene il marcio della fede, da sfoderare sull’estraneo che spazia spiritualmente; al quale non ha senso chiedere quant’anni ha se ti racconta delle emozioni da fissare in generale, per consigliare infine di scioglierle, in amicizia, al soffio di una brezza leggera che ci delucida sulla nostra piccolezza che provoca disgusto se il sentimento che ci auguriamo non si consolida premeditandolo.

Nel presente l’autrice viene ingannata dovendo spostarci freneticamente da un riferimento all’altro e viceversa, senza il tempo di attenderla e persino preceduti da tanti nostri simili; come se bloccati tutti quanti da un agone epocale, stressante, che determina ogni volta una condizione attualissima, negativa.

Lucianna esce fuori per quel minimo di dono della natura che la coglie tutt’a un tratto; come a contribuire alla tutela del particolare, ben pronunciato, insito a una lingua straniera che non ha senso calpestarla, e con l’espediente fisico da inquadrare per non rimanere trafitti da una pena di facciata, circa il vissuto dell’essere diverso da noi, che in fondo non riusciamo a immaginare.

Chiedersi in prossimità dell’aldilà se le cose volgono al celestiale è la prerogativa dell’anziano non vedente che puoi incrociare a inizio giornata, fingendo d’ignorarla per godersi il bello di una reazione; tra artigli dismessi, cercando semmai d’evitare di sfoggiarli artificiosamente, come se coinvolti dalla pigrizia bene intesa dei nostri predecessori.

Ci si ritira dentro una debole corazza, forti di un olfatto che strugge, rievocante storie alternative, a pelle, per solcare miserevoli rifugi, mantenendo il buon senso a livello economico.

La poetessa si lascia trascinare dall’idea che un soggetto amoroso, a lungo debilitato, ti avvisi della sua dipartita intensamente; mentre occorreva dormire, assorbendo l’invito apparentemente improprio, all’essenziale da masticare, giorno per giorno, oltre che quel minimo di quiete da sondare nei festivi.

Il rapporto con la fede presto cestinato si rende dolciume da donare senza pensarci, opportunamente; nella misura di una sorte contraria, la stessa che ti trasmette il povero che viene cacciato dall’esercizio commerciale, sopra il quale ci si esprime lussureggiando, senza badare alla coscienza, allo sballo tenuto celato, all’imbarazzo che traspare se costretti ad ammetterlo; distanti dal pazzo che compie un atto di fede segnando l’aria, positivo al massimo, così certo della condivisione di una dote infine.

“rannicchiato in una bolla d’eterno”

Seppur la ragione di chi hai di fronte sia pervasa da vizi incessanti, Lucianna ricava una dichiarazione sincera, preclusa agli esperti e agli autoritari; per riempirsi di mondi da scoprire senza smettere di sbagliare, ma respirando, incentivando spiritualmente con l’umana tenacia, quella necessaria per riflettersi nei malesseri sempre più vari e scatenare della sana comunicazione, sciogliere curiosamente della disperazione incomprensibile, dovuta dalla crudele perdita degli affetti, per cui si scappa eccome gridando che ciò non può essere vero.

Lavorando pubblicamente e in modo duraturo alimenti il desiderio di un lato oscuro di te stesso, di risiedere nella fatica di respirare, per non precipitare nel suono degli acquisti che devono passare dalla cassa, a sancire il prominente senso di disaffezione dal genere umano.

E pensare che disponiamo dell’intento di viverci, di un’illusione divenuta solitaria, come quella di toccare una creatura nuova fino a dipenderci, dovendo ricordare d’averla vista uscire da noi stessi, per stabilire silenziosamente cosa scrutare o chi è meritevole di ricevere un cenno d’intesa; anche se occupato a salvarsi dai personali movimenti.

Fa niente se non si viene identificati, perché non siamo in grado di leggerci dentro, girando e rigirando un groviglio di accessi; così inconsapevoli da non guarire, e rimanere a suscitare nient’altro che mistero per una dimensione terrena alla quale serve inculcare più di una preghiera affinché non s’inaridisca.

E’ impossibile peraltro fare avanti e indietro in mancanza di uno spazio reale, compiere dei passi come a non curarsi dell’angoscia che si deve provare all’attrito del mordente che si perde in bocca, in un attimo.

La richiesta di solarità si reputa effettuata perdendo la vita a trovare delle modalità di frequenza ambigua e fitta, e rimbalza sul muro rappresentato da un cliente che si ostina a giustificarsi, ad allontanarsi.

Da una parte della panoramica il moto degli eventi sembra che si scandisca da sé, svuotati i mezzi di trasporto e le persone che sembrano irrecuperabili, eppure dei sentimenti pulsano per la delicata trasparenza del dubbio che si evolve varcata la morale frammentata; per la paura di maturare, roba che si considera addirittura un errore dare la vita per rinfrescare delle responsabilità nei riguardi del prossimo, volendo stare altrove invece che incassare della presenza adeguata, in un supermercato che stimola al consumo che non emoziona, chiusi nell’immensità dell’intimo, bene in vista comunque.

V’è dell’eccesso che disturba la poetessa, una veste da levarle di dosso domandandolo semplicemente a una persona; consci del bene da volere, quando non si riesce a sentirlo, potendo rinviarlo di fatto ogni volta, e percepire meravigliosamente fori d’entrata, di silenzio, magari con la lettura di un discorso passato ma fermo sulla pagina del diario che non ti aspetti.

Sotto un’entità indefinita Lucianna conserva ricordi graffiati, compattando oggetti che tornano utili ancora immaterialmente; preda di corteggiamenti sfuggenti, operati da uomini che devono lottare per non reputarsi prevenuti, istituendo una regola almeno che sia solidale, come assicurarsi da sventurati la degustazione di una bevanda calda, offerta da ignoti.

L’appuramento del buonsenso contenuto da un individuo lo si rileva controcorrente, smettendo di verificare fino allo sfinimento il valore del denaro, tanto l’importante è che a produrlo liberamente sia un conoscente più che fidato.

E poi, s’è indispensabile attrarre non ha senso accessoriarsi normalmente quando hai da mantenerti; così da farti notare dai perfetti, dacché naturali, esponenti dell’emotività, quali sono i più piccoli, che ci si ostina a renderli splendenti con un ragionamento sterile ma incessante, non puntando sull’incanto che si può tranquillamente reinventare riciclando materiale non più funzionale.

Invece ci si concentra sull’estetica anche se per via dell’età non la si vuol pretendere, tradendo l’intento di sacrificarsi per una giusta causa che nel frattempo peggiora la considerazione sui disperati che arrivano addirittura a scomparire per farci stare con l’anima in pace.

La beffa c’invoca dall’organismo che serbiamo d’impulso, divenendo misteriosa mentre si aspetta invano qualcosa di nuovo se non di buono, in perenne sospensione quindi.

Trattasi di un risentimento generatore di distanze da colmare assolutamente non tralasciando mai della creatività, per non alimentare in aggiunta traumi per furti dovuti dall’essenziale che si esaurisce perché non è veritiero, e ritrovarci con le frequenze cardiache stravolte dalla solitudine che non meritiamo; a faticare, in un tempo che si attacca sulla pelle, o cazzeggiare semmai, stimolati dalla luce solare evidenziata di riflesso da un veicolo in sosta.

Negli occhi di certi uomini perdura una triste voglia di possesso; mentre si sfrutta uno stracciato accertamento fiscale ponendoci dietro il recapito per delle richieste d’amore non reciproco, e la radio svetta avvisando di fare attenzione alla guida se hai da goderti delle vacanze o sulla via del ritorno a casa.

La pazienza a molti uomini non appartiene; e si preferisce far marcire i polmoni all’aria aperta, se non la spesa solo in presenza di sconti, con la compagna di una vita a pretendere che non sia comunque il suo portafoglio ad aprirsi per Lucianna, che si è rimpicciolita come cassiera fino al generico, per gli altri.

Il silenzio, che consiste nella scarsa propensione al sentimento o peggio ancora nella mancanza di autostima a priori, viene fulminato dall’accento secco, cupo e distante di un principio di linguaggio che però vibra e partecipa alla dismissione improvvisa del brutto dalla psiche.

Si lamenta l’attitudine a donarsi ch’è nulla, quando tendiamo la mano senza accorgercene, dacché furbi nel falsare le linee di massima e intrattenere ingiustamente; rifiutando magari una bestiola sgradevole all’apparenza, ma che sa osservare qualsiasi umano spostamento, comprendendo meglio di tutti che in base agli anni che si ha la solidarietà può trapanare fino a raggiungere il midollo osseo.

Il camice che ha utilizzato la poetessa si è consumato durando a costituire comunque il buon esempio per la bambina che intende svolgere il suo mestiere di una vita, affermandolo con la tipica ingenuità di chi dovrà caricarsi di svariate, preziose custodie; specialmente in un ambito, quello del commercio, dov’è facile scambiare il dare per l’avere, facendo mostra di sé per forza, per un ruolo d’assorbire, e a fronte dell’anzianità che diventerà lampante, invincibile.

Gli adombramenti tacciono, uniti per venire calpestati da irrefrenabili aggeggi, cosicché aspettiamo che volga il sereno, svaniamo nella sensazione medesima, quando essa ritempra culturalmente un paesaggio e sembra che c’induca lentamente a provvedere al domani; tra figure favolose che si concretizzano dialogando, affondando nell’animo quotidiano, della persona costretta a isolarsi, che riesce a distinguere l’essere dall’apparire in Lucianna, e indossando più indumenti possibili per non soccombere all’inverno da scrollarsi di dosso in definitiva con movimenti bruschi e repentini, fuori dal supermercato.

Entrando od uscendo, la poetessa mira con lo sguardo gl’interni delle case che non paiono oscurati affatto, per lasciarsi assalire dalla malinconia, piacevole se la privacy non è scontata, se la consuetudine va scalfita; specie per la storia di un giovane che si svaga col torpore civile racchiuso in un insetto svolazzante nella sua stanza, che vuol essere catturato.

A fine giornata, il tramonto sembra perdurare, resistere al buio di lì a poco, talmente muto da far prevaricare lo sconosciuto andante, in un’atmosfera soffocante, affollata; arrivando anche all’irragionevolezza per motivi al femminile, alla compassione della poetessa nei suoi confronti, senza costo.

Indicare una persona per aderire al presente sarebbe una prerogativa se non fosse che occorre verificare il canale attraverso cui dimostrarlo, e mica a dei prodotti perfettamente sistemati, dato che per i bimbi un fenomeno di maltempo è vitale, ed è peccato che gli adulti non lo comprendano.


Le questioni vanno approfondite con un fare religioso disastrato, perché ci si stanca a provare di descrivere un dono del tutto naturale, motivandone l’affezione, per sospingere la gente a impegnarsi seppur sia dura cessare d’esistere lasciando un esempio ancor più buono di quando s’è iniziato a respirare; da genitori che sappiano tenere a cuore, in tempo, il destino della loro creatura, aiutandola con fermezza finalmente, provocando dunque scompiglio attorno, ovvero della sana curiosità.

“quel sollecito di difficile compito
di morire migliori di come si è nati”

La poetessa elabora dell’umiltà con costanza, ed è divertente chiamarla nonostante le sue riflessioni sbriciolatesi per ricominciare nuovamente ad armonizzare, e cogliere stavolta il tono adatto per la sua pecca, sopravanzando i soldi al sussulto che si genera quando si esige riconvertirli; tra chi crea e chi esegue.

“io coi miei pensieri frantumati
mandati a capo come una cattiva poesia”

Purché si evidenzi con l’intensità di un approccio il candore del macigno che riponiamo in noi, senza poi rifiutarlo qualora infastidisca chissà quale andazzo civile, da raccontare per uno scritto che ostenti nulla, che ci renda consapevoli di ciò che siamo, e attivi di conseguenza."

                                                                                                                              Vincenzo Calò



Commenti

  1. "nel corpo stanco delle ore" Esporsi, sempre: eludere il corpo. Questo l'artifizio del poeta.
    Non vedo l'ora di acquistare quest'opera. Leoeriu

    RispondiElimina

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