Passa ai contenuti principali

Volontà di potenza

Volontà di potenza. Un’espressione ormai demonizzata, perché comunemente collegata alla sopraffazione, alla quasi omonima “politica di potenza”, al disprezzo del più debole.
            Solo pochi sanno coglierne un altro significato - forse, quello più vero. Sono coloro la cui anima è stata baciata dal Veleno Blu

 Passano la vita appesi a un crine di cavallo, come la spada di Damocle, sopra il baratro della depressione. Non è un male storico; non può essere ricondotto alla lotta di classe, allo sfaldamento delle ideologie, ai conflitti in corso. È nato con loro, solo con loro morirà. Per questo, guardano con distacco e ironia a ogni discorso ufficiale e alle categorie dei manuali di storia. Non è qualunquismo o ignoranza: è consapevolezza che non tutta la realtà può essere triturata e digerita da quel lessico. Il Veleno Blu, per esempio, non può. Non è nemmeno egoismo. Costoro hanno, spesso, passato la vita a occuparsi di qualche ideale, quale che fosse; a prodigarsi per i prossimi e i lontani. Semplicemente, non hanno l’ingenuità - o la malafede - di identificarsi con quell’immagine di filantropi che avrebbero potuto costruirsi indosso. Sanno che il filantropo è sempre tale a beneficio di sé, prima che degli altri. Sanno che chiunque diventa un leone, quando si tocca il rispetto dovuto a lui - meno assai quando viene toccato il rispetto per altri. Piuttosto che essere “santi” di questa fatta, preferiscono rimanere oneste nullità.
            Non hanno paura di chi li apostrofa con le vecchie tacce di accidia, decadentismo, disfattismo, qualunquismo, egoismo. Anzi, sorridono di questi accusatori. Sanno che chi disprezza la melancolia è semplicemente troppo sciocco per comprenderla in sé, o troppo vigliacco per ammettere di soffrirne.
            La loro vera battaglia è dentro di loro. Si consuma sopra quel baratro. Il crine di cavallo si assottiglia. Il baratro è pieno d’acqua nera in cui, a volte, si può solo lasciarsi affondare. Perché è sul fondo la risposta: Io sono vivo, però!
            Solo in quella profondità, quest’espressione prende il proprio pieno significato.
Volontà di potenza, o meglio, bisogno di riscuotersi; di nuotare per risalire - anche se questo significasse riappendersi a un crine di cavallo. Perché quell’ Io sono vivo, però! ha la forza elementare di un magma, di tutte le elementari e sovrane forze della Natura. Non è filosofia, né etica. È al di là del bene e del male.
È quello che spinge ad alzarsi prima dal letto, ad aggiungere qualche flessione e qualche piegamento ai soliti esercizi. A scrivere un altro libro. A chattare con quella ragazza che t’intriga. A fare qualunque cosa non sia ripiegarsi, piangere e affondare nel baratro pieno di Veleno Blu. Perché, oltre il fondo, non si può comunque andare.

            Io sono vivo, però!

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio