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Gotica, gotica Tosca

tosca di giacomo puccini

Una rappresentazione certamente memorabile della Tosca pucciniana è quella diretta da Franco Zeffirelli al Metropolitan di New York nel 1985. È abbastanza probabile reperirla in DVD, come ho fatto io ai tempi dell’università. L’ho riguardata di recente e ho notato alcuni tratti tutt’altro che secondari: quelli che danno una tinta decisamente gotica alla vicenda.

            Già di per sé, la Tosca (1900) fu composta in un’epoca che non era già più romantica, ma risentiva ancora di quella grande stagione ottocentesca. Il Romanticismo aveva già da tempo ispirato le letterature che chiamiamo gotica e decadente, composte dai materiali più oscuri e morbosi della passionalità del XIX secolo. Fra l’altro, Dracula, il capolavoro del gotico, era uscito nel 1897: solo tre anni prima che l’opera pucciniana arrivasse nei teatri. Una vicenda di amore e di morte si prestava benissimo a richiamare questi fantasmi.

            Da una parte, c’è Tosca (Hildegard Behrens): una donna pia e carnale allo stesso tempo, che unisce la passionalità a una gelosia purtroppo immatura. Lo stesso Zeffirelli osservò che lei aveva “l’anima di un bambino”. [1] Prendete pure Isabella del Castello di Otranto, o Lucy di Dracula, Christine del Fantasma dell’Opera o qualsiasi emblematica eroina da romanzo gotico… e ditemi voi se anch’esse non siano “donne-bambine”. L’unica differenza, se vogliamo, è che Tosca è più matura e consapevole nella sua sensualità; la vive in pieno, anziché farla rimanere latente sotto uno strato d’immacolata verginità. Questo slancio e questa ferocia le impediscono di essere una passiva “donzella in pericolo”; addirittura, armano la sua mano. Ma pur sempre una bambina insidiata rimane e farà le spese della propria ingenuità – non da sola, purtroppo.

            Poi, c’è l’eroe: Mario Cavaradossi (Plácido Domingo), un artista coraggioso e affamato di libertà, sprezzante del pericolo e del dolore, ma anche smargiasso senza bisogno, in momenti che richiederebbero piuttosto prudenza. A ogni modo, lui è “l’amante sano”, quello che offre all’eroina un’alternativa alle tenebre che vorrebbero inghiottirla. Potrebbe sedere tranquillamente al fianco di Jonathan (Dracula) e di Raoul (Il Fantasma dell’Opera) per questo motivo. Ciò che lo distanzia invece da loro è il fatto che il suo destino dipenda da Tosca: è lei a trovarsi nella posizione di salvarlo o lasciarlo perire, non il contrario.

            Infine, c’è il cattivo: Scarpia (Cornell MacNeil), capo della polizia papalina. È bigotto, perché il suo ruolo nella città pontificia glielo richiede; per giunta, il “timor di Dio” è da sempre un ottimo mezzo per disciplinare e dominare il prossimo, come dimostra la capacità di Scarpia di raggelare un’intera cantoria di chierichetti indisciplinati in un istante. La sua reale personalità è infatti quella di un sadico, di un intelligente e insaziabile predatore. Purtroppo, le prede principali a cui mira sono proprio Tosca e Mario: l’una per possederla, l’altro per sbarazzarsene. Scarpia è ripugnante, ma d’una ripugnanza che sa esercitare fascino, proprio perché non manca di strategia e promesse di piacere. Anche qui, vanno riportate le osservazioni di Zeffirelli:

 

           

…il barone Scarpia è un pericoloso uomo affascinante, una piacevole tentazione che offre a Tosca un altro tipo di piacere. Io credo, in definitiva, che Tosca lo uccida per uccidere la sua tentazione.

 

            Osservando il costume color nero e porpora che Cornell MacNeil indossa in questa rappresentazione e il suo volto pallidissimo, è abbastanza ovvio pensare al supercattivo più volte citato, ovvero Dracula. Che non si tratti di una mera coincidenza? In fondo, entrambi i personaggi incarnano la seduzione del male: il desiderio di cedere a una volontà più forte, che promette godimento e indulgenza, ma che non saprà mai dare amore – perché vede il prossimo come un oggetto. Le abitudini del barone sono in tutto e per tutto quelle di un vampiro:

Bramo. ~ La cosa bramata

perseguo, me ne sazio e via la getto...

volto a nuova esca. Dio creò diverse

beltà e vini diversi... Io vo' gustar

quanto più posso dell'opra divina! (beve)

 Proprio come Dracula, lui è il “buco” in cui le vite dei protagonisti vengono risucchiate. Non dovrebbe essere il personaggio principale; eppure, stando nell’ombra, fa ruotare intorno a sé tutti gli eventi.

Quando viene trafitto, muore soffocato dal sangue: il proprio, ma anche quello delle vittime che ha “ingurgitato” per la sua intera vita.

 

E avanti a lui tremava tutta Roma!

 

            Insomma, un “signore delle tenebre” degnissimo, come si conviene a qualsiasi narrazione gotica. Anche l’ambientazione italiana casca a fagiolo: i grandi maestri della gothic fiction amavano l’Italia (e i Paesi di forte tradizione cattolica, in generale) come ambientazione delle loro opere. La Roma papalina, fatta di Te Deum e di belle cantanti liriche, di sensualità ritratta nei volti delle sante e di segreti orrori in prigioni e palazzi, avrebbe reso felici anche loro. 

la morte di scarpia nella tosca

Fra l’altro, Scarpia ha i suoi “castelli maledetti”: una dimora di lusso dove regnano torture e terrore, nonché un castello vero e proprio, Castel Sant’Angelo. Qui si trova il carcere ov’è ambientato il terzo atto: le sue ombre e i suoi orrori non hanno alcunché da invidiare agli scenari dei romanzi di Walpole e Stoker.

            Del resto, proprio come Lucy, anche Tosca finisce per diventare lo strumento principale nelle mani del “vampiro”: inconsapevole, certo, in quanto strumento, ma comunque decisiva. Ricordiamo che la vicenda è ambientata nella Roma dell’anno 1800: la Repubblica Romana, sorella della Prima Repubblica Francese, è appena caduta; lo Stato pontificio è appena stato ripristinato. Il console dell’abbattuta Repubblica è fuggito dalle prigioni di Castel Sant’Angelo e proprio Mario gli ha offerto un rifugio sicuro. Peccato che, nella loro foga, abbiano lasciato fin troppi indizi in mano a Scarpia. Per lui è un gioco far leva sulla gelosia di Tosca: le fa credere che l’amante stia ospitando un’altra donna. Lei, in preda alla rabbia, corre proprio nel rifugio segreto dove incontra abitualmente Mario – e dove ora si trova l’ex-console. Naturalmente, il capo della polizia la fa pedinare.

 

Va' Tosca! Nel tuo cuor s'annida Scarpia!...

 

Così pure, per l’incapacità di controllare le proprie passioni, la donna finirà per divenire complice dell’ “antagonista” più volte. Poco vale che sia lei a ucciderlo, colpendolo al cuore con una lama (Dracula, nel romanzo di Stoker, veniva trafitto da un coltello, non da un paletto… curiosa somiglianza). Scarpia ha comunque l’ultima parola, grazie alla sua perfidia. In mezzo a personaggi dominati da generose passioni, lui è l’unico a non essere distratto dai sentimenti. Ecco perché agisce come un perfetto giocatore di scacchi, disegnando la trama – anche dopo la propria morte. Del resto, può un “vampiro” come lui morire veramente?

            Per sfuggire alle sue grinfie, si può solo uscire dal suo gioco e dalla sua scacchiera. Tosca lo fa, nel modo più tragico e appropriato per un’opera lirica. Per il resto, occorrerà un giudizio più alto di quello umano, come gridano le ultime parole di lei. Oltre il sublime, c’è il totalmente ignoto.



[1] Questa citazione di Zeffirelli, come quella successiva, è tratta dall’opuscolo che accompagna il DVD dell’opera.

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