Poeticamente,
le parole non bastano più?
Barbarah Katia Guglielmana: Le parole non ascoltate non sono mai bastate; le guerre scoppiano,
sorde. Le parole invece devono essere sussurrate ai non udenti. Non parlare
sarebbe un grido di sconfitta per il dialogo.
Ilaria Francesca Martino: Non sono mai bastate! La parola poetica è affanno e liberazione
assieme!
Artisticamente,
per emergere serve fare i conti con un’emergenza sia epocale che reale?
B.K.G. : Credo
che usare lo strumento dell'arte sia un focalizzare la realtà, per eviscerarla
dal semplice accadere, per scorporarla. L'arte è una buona risorsa per
scomporre la realtà nelle sue connotazioni, e focalizzarne quella parte che può
diventare risorsa di rinnovamento personale e collettivo. Aver capito che
questa pandemia del Covid-19 è stata una emergenza mondiale dovrebbe averci
insegnato che siamo piccoli, tutti.
I.F.M. : Credo
che l'obiettivo di chi fa arte non sia emergere, ma sopravvivere.
Come
si cura il giudizio del pubblico, infischiandocene appieno?
B.K.G. : Il
pubblico principalmente siamo noi; la Musa ci mostra quel Perturbante che
abbiamo dentro e che deve esserci riconosciuto, accettato e addomesticato. Dopo
- se realmente compreso - il pubblico può interessarsene, giudicandolo. Ma il
motivo, per cui creo una forma dal marasma che mi tormenta dentro, è il mio
essere giudizioso!
I.F.M. : Non
si pensa al pubblico. Si pensa a un gruppo di persone cui si racconta,
semplicemente, qualcosa, di intimo.
Ma
non ci si sente soli proprio una volta colto l’essenziale?
B.K.G. : Sì,
purtroppo.
I.F.M. : Tutti
facciamo i conti con la solitudine, chi prima, chi dopo; ma, una volta colto
l'essenziale, credo che anche la solitudine faccia meno paura perché si è più
in compagnia di sé stessi.
Vi
capita di ridere banalmente?
B.K.G. : Molto
spesso, per fortuna.
I.F.M. : Certo
che ridiamo, e per cose banalissime! Quando non ci sentiamo o non ci vediamo
per un po', perché ognuna è alle prese con la propria vita. Quello che ci manca
di più sono proprio le nostre risate, ce lo diciamo sempre!
Gli
affetti vanno accertati, per la serie “L’umanità, questa sconosciuta”?
B.K.G. : Gli
affetti vanno cercati, ricercati, innaffiati, scoperchiati, strappati alla loro
quotidianità, eternizzati dopo metri di fatiche insieme, lasciati riposare,
mantecati, chinati, rinnovati, svelati, spodestati, ufficializzati, protetti,
amati, e odiati poco.
I.F.M. : Sì.
L'umanità, questa suadente sconosciuta; nel bene come nel male… c'è cosa più
interessante?
Vi
siete promesse di non osare mai più a fare cosa?
B.K.G. : Morire
in un sistema.
I.F.M. : Non
ci siamo promesse un bel niente! Ahahaha!
L’istinto
di madre Natura ci condizionerà in positivo, e cioè nelle scelte più dure (che
sono quelle da fare ancora in perenne e trasparente movimento?)?
B.K.G. : Madre
Natura ci insegna a guardare, grazie all'educazione contadina, il sole e la
luna, degli astri a vegliare le stagioni. Sono le lezioni dell'esistere. La Natura
non è solo generatrice, né esclusivamente mortifera. Sapere che nella
catastrofe risorgerà ancora un sole non è solo una pasqua culturale, ma è un
panteismo di cui siamo fatti tutti, a ricordarcelo.
I.F.M. : Dobbiamo
imparare a seguire il nostro istinto. Alleggerire le sovrastrutture. Riprendere
contatto con la natura selvaggia e saggia che ci abita e di cui, credo, abbiamo
profonda nostalgia.
Saremo
alle prese con una rivoluzione sanitaria post Covid?
B.K.G. : Ce lo
auguriamo, serve. Non ne sono troppo sicura, non nell'immediato almeno. Ma s'ha
da fare la rivoluzione, sempre! Il numero dei sanitari deve essere
implementato. Le strutture piccole devono essere riaperte. Occorrono ospedali
efficienti, e non solo centralizzandoli. Occorrono case di cura più 'attive'
nella riabilitazione, nel trattamento dell’anzianità. Occorre una maggiore
medicina territoriale. E non da ultimo occorre che il contatto umano venga
preparato, insegnato, approfondito dentro le nostre motivazioni. Il taglio
della Sanità è da ricucire.
I.F.M. : Lo
spero. Spero in una rivoluzione globale. Nella società, come nella sanità,
nell'istruzione, come nel modo in cui si imposta la propria vita. Il Covid è
stato un campo di prova durissimo. Sarebbe da stolti avere imparato nulla.
Purtroppo i venti di guerra, la brama di potere e l'odio che stanno
serpeggiando mi gettano in un profondo sconforto.
…
Leggendo “Tributo Naturale”
Quei
nascondigli fatti di puro omaggio, sì, forse non c’è miglior residenza dovendo
muoverci nel profondo che ottenebra, in cerca di una vita da rinnovare
autenticamente.
Poesie
di parole e illustrazioni energizzanti grazie a madre Natura, dimodoché si possa
vagare.
Vibra
una volontà sostanziosa, quella di toccare l’altrove, scoprendo che l’anima non
si limita, scavalcando ostacoli dettati dalle tendenze reali, giornaliere…
incantati semmai da un paio d’occhi consono al diritto d’immaginare piano ma
all’ennesima potenza la verità attuale, alla radice di ogni singolo individuo.
Vige
della freschezza elementare, in mezzo a rinvii, mutismi, intervalli e
affermazioni che ancora non sbocciano.
Sprofondare
quindi significa tornare alla base, avendo bisogno di mancare, prima di
spalancare la ragione, e sentire come il nulla ci blocchi; data un’umanità che
intende teoricamente, irrealmente sovrastare la propria condizione
esistenziale, strumentalizzandola in maniera banale per spiegazioni debellanti
i se e i ma.
Superflue
immediatezze volgono alla sincerità che serve per caratterizzare
l’indispensabile.
Attacchi
poetici al naturale, di un intelletto da plasmare all’infinito per comprendersi
soavemente, appartengono a Barbarah, a una voce inoltrabile, oceanica per le
navigazioni di ciò ch’esprime Ilaria, la sua amica e collega di lavoro… di
coinvolgente per chi assiste.
La
spontaneità si rapporta alla fisicità curabile da una coppia di dottoresse che
accarezzano il tempo libero verseggiando, traendo spunto da una mente da
rasserenare dettagliatamente, con le letture di una guarigione e i passi da
compiere per avvicinarsi a un tesoro di sensi sempre più smodato.
In
questo libercolo battono armoniosamente un dare alla luce e l’esatto contrario,
e certo che ne va dell’arte della comunicazione in esclusiva!
La
sapienza si sensibilizza qui, potendo sopravvivere al presente, alquanto
dispersivo.
Eppure
la nostalgia è in grado d’impressionare, nel corso di qualsiasi percorso
terreno, che può cominciare se ci attribuiamo un senso di trasporto
interiormente.
È
che serbiamo un lato oscuro, per cui non possiamo chiudere gli occhi, che
piuttosto esige d’essere contemplato ogni volta che si fa buio, e i profumi
riprendono a lavorare l’immacolato.
Dall’unico
satellite a portata di vista, sembra proprio che convenga rubare la bellezza
apparente di certi versi, per recuperare il distacco da sé stessi, che a sua
volta sembra riempire un bagliore astrale, tortuoso, a primavera inoltrata e
quando generalmente si dorme.
“Guardo la mia ombra…”.
Ciò
che non si lascia macchiare non è altri che un limite smussante, mentre l’aria
con le sue correnti si manifesta camminando, fa risplendere l’intimo elevandolo
al femminile.
Le
nubi rimarcabili nell’etereo vengono sgravate essenzialmente, benché si abbia
di che piangere a secco, come se privati della possibilità di dissetare.
Molto
spesso si sottilizza l’ascolto senza essere notati da un cuore comunque ben
custodito, abile a tessere l’inconfessabile, un qualcosa di prettamente
familiare.
Che
poi l’andazzo umano sul pianeta Terra si rivela un destino facile da
focalizzare data la ragion d’essere, nonché per una donna che si definisce
portatrice di latte materno.
Costanza
mista a sopravvivenza traspaiono nella libertà che verrà.
Il
lettore dapprima dovrebbe ricordare come sia stato duro per quanto sconvolgente
il rinchiudersi dentro quest’ultimo biennio, con la novità di questo virus ad
accelerare e a furoreggiare da subito tragicamente, indebolendo tuttora il
migliore dei narratori.
Un’emergenza
scatenatasi tra persone divenute generalmente incapaci di andare avanti,
letteralmente fragili, in balia di una fine immeritata.
Quelli
che si prodigavano a soccorrere i derelitti, certi di avere in pugno la
situazione di solito, vennero convocati e armati alla cieca, di santa pazienza,
e guai a esserne indifferenti; per una missione che parve impossibile, ovvero
sfidare, lungi ancora dall’auspicare l’umano ricambio, totalmente ignari, un
avversario che appunto non si faceva conoscere.
La
Guglielmana e la Martino intervengono d’urgenza da dottoresse sui pavesi e non
solo, legate peraltro da un affetto che bello è dir poco, basti immaginare come
siano riuscite a cogliere un senso di smarrimento tale da doversi isolare però
facendosi forza reciprocamente.
A
dimostrazione che qualsiasi angoscia può venire alleviata, contenendole dentro
una narrazione se non comportano direttamente parole identificative.
La
malattia delle malattie va evidenziata delicatamente, potendo quindi ispirare
versi e immagini mentre si aspetta che albeggi il domani, e in virtù di un
sentimento incontrastabile se permette l’elementare contatto tra anime
complesse.
Ciò
che non smette oggi di accadere, l’emergenza Covid che stiamo scontando tutti
quanti, si rapporta proprio a quel che ho scritto poc’anzi: il buio che scatta
emotivamente, da tradurre in opportunità, riflettendo di nuovo su quanto siamo
determinanti per le sorti terrene.
Vecchi
richiami di un essere donna all’origine rilevo anche, leggendo di queste
autrici, che meravigliano con l’importanza di decidere come impreziosire una
sorta di vuoto sia temporaneo che assoluto; e cioè omaggiando chi è curioso di
sé con la loro amicizia, questa sì imperturbabile, poiché certe che la felicità
dipenda da un ridarsi alla luce che ci spetta di diritto.
“Nel petto ho un fuoco, un rospo e tanti
spasmi
un cuore e quattro camere”.
Vincenzo Calò
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