La rassegna è stata aperta il 18 e
il 19 gennaio, con The Naked Mountain (Spagna 2020; regia di Alex Txikon). Il
titolo è la traduzione letterale di Nanga Parbat (8126 m), il nome della cima
pakistana scalata dallo stesso Txikon, da Ali Sadpara e da Simone Moro nel
2016. Altri suoi appellativi sono “montagna degli dei”, “re delle montagne”, “mangia
uomini” o “montagna del diavolo”. Tanto basta a comprendere cos’abbia
significato riuscire a raggiungerne la vetta, per giunta d’inverno.
Il tema della montagna divina e
fatale era presente anche in The Wall of Shadows (Polonia 2020; regia di
Eliza Kubarska). Al Politeama, è stato proiettato il 15 e il 16 febbraio.
Stavolta, il protagonista era uno sherpa nepalese chiamato a un’impresa
remunerativa, ma pericolosa: aiutare una squadra di tre uomini a salire
l’inviolata parete est del Kumbhakarna (7710 m). Peccato che la montagna non
solo si sia già portata via diverse vite umane, ma sia anche considerata una
divinità dalla popolazione locale. Lo sherpa, oltre a rischiare la vita, sa che
la sua impresa è sacrilega. Tuttavia, ha un nobile motivo per portarla a
termine: i soldi dell’ingaggio potranno aiutare suo figlio a studiare medicina…
Più che la scalata in sé, ad essere al centro della storia ci sono la famiglia
dello sherpa e il suo profondo rapporto con la natura circostante. Chi uscirà
vincitore dalla sfida fra uomo e montagna sacra? Chi avrà saputo riconoscere i
propri limiti per poter andare avanti a vivere. La traduzione letterale del
titolo era “Il muro delle ombre”: il Kumbhakarna stesso, che proietta sugli
uomini non solo ombre fisiche, ma anche quelle di paure, desideri, domande
esistenziali.
Il terzo ed ultimo film (quasi per
ironia) era proprio The Last Mountain, ovvero “L’ultima montagna” (Polonia
2019; regia di Dariusz Zaluski). Il regista è uno scalatore esperto, proprio
come i protagonisti della pellicola: tre veterani dell’alpinismo provenienti
dalla Polonia e intenti a salire sul K2, vetta mai raggiunta d’inverno. Vengono
però raggiunti da un allarme per il soccorso di altri due scalatori in grave
difficoltà. Il desiderio di riuscire nell’impresa s’intreccia con il dovere
morale, con i contrasti inevitabili in qualsiasi squadra, con le forze della
natura e con gli infortuni. Alla fine, la vera vittoria sarà salvare vite e
amicizie, senza cedere a individualismi e sensazionalismi.
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