È
stato un argomento decisamente fiammeggiante quello che la Libera Università di
Manerbio (LUM) ha trattato il 9 febbraio 2017, al Teatro Civico “M.
Bortolozzi”: “Roghi e punizioni”. Il relatore era il prof. Daniele Montanari,
docente presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Brescia.
La “caccia alle streghe” si è svolta
fra la metà del ‘400 e la metà del ‘700. “Strega” e “stregoneria” sono
erroneamente associati alla magia, ovvero all’uso di poteri d’origine
sconosciuta per operare mali (“magia nera”) o beni (“magia bianca”). Forme di
magia, sia “alta” (erudita) che “bassa” (di origine popolare e pratica) sono
state praticate normalmente in Europa per secoli. Di “stregoneria” si parla
laddove si ritiene che l’officiante abbia stretto un “patto col diavolo”. I
presunti streghe e stregoni erano accusati di riunirsi in “Sabba”, orge col
demonio comprensive di cannibalismo e infanticidio. Ma (ovviamente) non
esistevano testimoni oculari. L’inquisitore spagnolo Alonso de Salazar y Frías,
nel 1610, affermò: «Questa stregoneria è solo una chimera» (da cui il titolo
del romanzo di Sebastiano Vassalli, “La chimera”, 1990).
Stabilire il numero delle “streghe”
è arduo. Ci si può basare su atti di processi relativi a francobolli di
territorio. La maggior parte delle attestazioni viene dall’attuale Germania. Si
può affermare che, all’inizio del ‘500, gli europei colti credevano che le
streghe rendessero omaggio al diavolo, ricevendone in cambio poteri
straordinari e un marchio sulla pelle. La “caccia alle streghe”, insomma, è
stato «un fenomeno alto-culturale che processava il basso» (Montanari). Nel
1487, i domenicani tedeschi J. Sprenger e H. Kramer pubblicarono il “Malleus
Maleficarum” (= “Martello delle streghe”), sorta di manuale per combatterle. La
bolla “Summis desiderantes” di Innocenzo VIII (1484) incoraggiava proprio
l’attività inquisitoria dei due. Il mezzo della stampa diffuse esponenzialmente
il “Malleus”. Alla caccia contribuì anche un cambio di procedura penale. Il
Medioevo aveva conosciuto il sistema accusatorio: il danneggiato sosteneva
personalmente l’accusa. La crociata contro i Catari (1209-1229) rese
insufficiente la procedura, dato che era impossibile riconoscere i Catari dal
resto della popolazione sulla base di una semplice denuncia. Fu così adottato
il sistema inquisitorio: il giudice avrebbe personalmente indagato e raccolto
le prove. Avrebbe poi tenuto un interrogatorio segreto col reo e i testimoni,
di cui le deposizioni sarebbero state registrate per iscritto. Anche la tortura
aveva posto nella procedura, come metodo per estorcere notizie. Oltre ai
tribunali ecclesiastici, furono coinvolti tribunali laici. La condanna era
quasi sempre a morte, preferibilmente per rogo.
Le denunce venivano spesso da ambiti
rurali. Qui, la cucina, la medicina e l’ostetricia spettavano alle donne. Erano
dunque le prime indiziate, nei frequenti casi di morte di un malato o di un
bambino. Giocava un ruolo anche il terrore per le cattive annate, o per le
epidemie. Le “streghe”, oltre che cuoche, guaritrici e levatrici “sospette”,
erano donne senza marito (quindi “soggette a tentazioni”) o di cattivo
carattere. La tortura portava a false confessioni e accuse, facendo così
moltiplicare a dismisura le caccie. Dopo il picco tra ‘500 e ‘600, il fenomeno
entrò in declino. Le riforme giudiziarie settecentesche, la mentalità
scientifica, l’attenuarsi dei conflitti fra cattolici e protestanti, la
riduzione di povertà e pestilenze fecero dissolvere gradualmente la chimera.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 118 (marzo 2017), p. 6.
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