Dietro
la pala settecentesca di Giambattista Pittoni rappresentante la Deposizione, sono
rimaste tracce della decorazione a fresco (anche questa settecentesca) di
Giambattista Zaist. Ha caratteri barocchi: dorature, modiglioni, spighe e
volute. È probabile che fosse originariamente estesa su tutta la parete del
transetto sinistro. Fu coperta dalle decorazioni fineottocentesche di Giuseppe
Cominelli, che ha lasciato anche la propria firma tra le finte venature del
finto marmo in una parasta della parete sud. Quando la pala del Pittoni fu
asportata per essere restaurata, nel muro decorato furono trovate incise due
date. Una era “1776”. L’altra era “1861”: un riferimento all’unificazione
dell’Italia?
Nel summenzionato 1985, il presbiterio fu riprogettato per adattarlo alle indicazioni liturgiche del Concilio Vaticano II. Fu aggiunto un nuovo altare, decorato dalle sculture bronzee di Federico Severino. A dettare le indicazioni per la loro realizzazione fu don Angelo Zanetti. A lui si deve la presenza della Madonna fra gli Apostoli nelle suddette sculture, per motivi pastorali.
Parlando
di restauri della pieve manerbiese, altri due momenti decisivi vanno ricordati:
l’incendio che colpì la chiesa nel 1989 e il terremoto del 2004 con epicentro
nel lago di Garda. Essi, ovviamente, resero necessari ulteriori ripuliture,
rifacimenti, analisi e consolidamenti. Pensiamo per esempio alla perdita
dell’organo, danneggiato dall’incendio e restaurato nel 2017. Nel 1989, si rese
necessario anche il restauro della celebre pala del Moretto sull’altar
maggiore. Di essa, si occupò lo studio Giangualano. Anche nella sagrestia
dovettero essere ripuliti l’affresco di Carlo Innocenzo Carloni sul soffitto e
le decorazioni di Cominelli. La già citata “Deposizione” del Pittoni fu
affidata allo studio Seccamani, che ne corresse le diffuse scrostature con tecnica
reversibile. Oggi, il magnifico risultato è sotto gli occhi di tutti.
Un edificio secolare e colmo di opere d’arte qual è la
pieve di Manerbio è un organismo complesso, per certi versi “vivente”: muta col
tempo, viene arricchito, si degrada e (allo stesso modo) torna a nuova vita.
Ringrazio vivamente
l’arch. Alessandro Rossi per le sue ricerche sul restauro.
Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 219 (settembre
2025), p. 12.
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