Passa ai contenuti principali

Io non c'ero, ma ci sono

Che Luciano Baiguera sia un artista originale e fuori dagli schemi è cosa nota. Ma l'impatto emotivo maggiore viene raggiunto dalle sue idee per la Giornata della Memoria. Nel 2024, ha coinvolto i suoi amici artisti in un'iniziativa intitolata "Io non c'ero, ma ci sono." Essa faceva parte della serie di mostre "In Essere 3 - Desiderio di bellezza" e ha prodotto un'esposizione rimasta aperta dal 21 gennaio al 17 febbraio al Bar Borgomella di Manerbio. I partecipanti hanno inviato le fotografie dei propri volti a Baiguera. Lei le ha trattate in modo che sembrasse fatte di cenere. Un modo semplice, ma eloquente di mostrare che quelle incenerite nei lager erano, appunto, persone come tutti noi. Schierarsi contro lo sterminio sistematico degli "indesiderati" significa, in ultima analisi, proteggere anche se stessi: chiunque può diventare un "indesiderato", un giorno. Le categorie internate nei famosi "campi" non si limitavano infatti agli ebrei. Comprendevano chiunque non fosse allineato con il "mondo perfetto" nazista: in pratica, costituivano la maggioranza dell'umanità. 

"Io non c'ero, ma ci sono": i volti in mostra per la Giornata della Memoria 2024.

Sotto le fotografie, i soggetti rappresentati potevano aggiungere una frase. Ne citiamo alcune: "J'accuse"; "Usciamo dal grigio! (Let's get out)"; "Un detto romano dice: 'Anche il più pulito cià la rogna "; "L'unico treno in orario"; "Final Destination"; "Quello che voi siete noi eravamo. Quello che noi siamo voi sarete."

La mostra comprendeva anche altre opere. Una vignetta raffigurava un prigioniero intento a leggere una lettera. Un treno in partenza portava presumibilmente al campo di sterminio. Una bambina trasformata in un codice numerico significava "Io non sono nessuno senza il mio nome". C'era un contributo anche da parte del Fotoclub di Leno: un fiore che reclinava il capo (Mario Gatti); alcuni api intorno a un altro fiore, a fianco di un lager (Donato Virgilio); un fiore bianco su uno sfondo grigio-nero (Mario Gatti). Evidentemente, il simbolo floreale esprimeva bene il tentativo d'affermazione della vita sulla morte.

Le immagini di "Io non c'ero, ma ci sono" sono state esposte anche sotto i portici del Palazzo Municipale dal 26 al 27 gennaio, nel corso dell'installazione "La deportazione e lo sterminio" curata dall'A.N.E.D. e dall'A.N.E.I., due associazioni nazionali di sopravvissuti ai lager. In questo contesto, sono state accompagnate dai pannelli che mostravano fotografie dei prigionieri e illustravano le tappe storiche dello sterminio con didascalie.

Storia, commemorazione... e il "desiderio di bellezza" dov'era? Forse, proprio nel tentativo di svegliare le coscienze e di trasformare l'orrore in espressione liberatoria.

 

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 200 (febbraio 2024), p.10.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio