Il 24 marzo 2023, al Teatro Politeama di Manerbio, è andata in scena una rappresentazione alquanto insolita de L'uomo dal fiore in bocca, un atto unico che Luigi Pirandello compose nel 1923. L'autore lo scrisse in forma di dialogo tra l'Avventore di un caffè e l'Uomo dal Fiore in Bocca, per l'appunto. Sembrerebbe uno di quegli incontri casuali che servono solo a ingannare il tempo; invece, esso finisce per affrontare una delle massime verità esistenziali: la morte. Perché "il fiore in bocca" è un epitelioma che non lascerà scampo al protagonista.
Come avviene
solitamente nei drammi pirandelliani, i personaggi sono ridotti a maschere.
Qualcosa li ha fissati per sempre in una sola forma. Questo qualcosa è ciò che
ferma e fissa per definizione: la morte, appunto.
A Manerbio, il
dialogo è divenuto un monologo, nell’adattamento operato dallo stesso regista,
Francesco Zecca. Il disegno delle luci era di Alberto Tizzone; delle scene, si
erano occupate le “Arti Plastiche” di Riccardo Morucci. L’aiuto-regista era
Rebecca Righetti e le musiche erano di Diego Buongiorno (produzione Infinito
srl, in collaborazione con Argot Produzioni). In scena, c'era la moglie del personaggio
principale: la Donna Vestita di Nero, interpretata da Lucrezia Lante Della
Rovere.
Anziché narrare
il dramma di un uomo che sa di dover morire, la pièce ha inscenato il lutto
della vedova. Dopo la morte del marito, la sua occupazione è divenuta quella di
piantare innumerevoli fili d'erba sulla sua tomba. Questo perché l'Uomo dal
Fiore in Bocca aveva chiesto all'Avventore di contare tutti i fili d'erba di un
cespuglio: quello sarebbe stato il numero di giorni di vita che gli restavano.
Lei, insomma, vuol rendere "immortale" il marito… perché non sa
immaginare un'esistenza senza di lui. Immagina in continuazione le vite degli
altri, in compenso: le serve per non sentire il proprio vuoto.
Non appena aveva
saputo di essere malato terminale, l'Uomo dal Fiore in Bocca era stato preso da
un'irrequietudine perenne: usciva di casa e vagava, proprio per evitare la
moglie e tutto ciò che lei rappresentava. Non riusciva a rimanere tranquillo in
una vita che stava per crollargli addosso. Ma la Donna Vestita di Nero è
diversa. Lei, come una casa di pietra e di travi, non avrebbe mai potuto
sottrarsi al terremoto della morte. Il marito la credeva stupida; non capiva
che lei stava semplicemente vivendo secondo la propria natura fedele e costante.
Così, ora che la
casa del suo amore è crollata, le sembra di non poter fare altro che vivere
sulla tomba del marito, aspirando a raggiungerlo sottoterra. Ma davvero è così?
La vita è tanto ingorda di se stessa… Forse, solo ora (a posteriori) la Donna
Vestita di Nero riesce a sentirne il sapore.
Ho recitato l'uomo dal fiore in bocca 60 anni fa e ho recitato anche con la brava e bella Lucrezia L'arte della Rovere. Antonio Ferrante.
RispondiElimina