Quando Dante Alighieri compose la Vita nuova, inscrisse il suo amore giovanile per Beatrice nella cornice del cosmo quale era allora rappresentato. Non si trattava di una cotta adolescenziale destinata all’oblio, ma di un’esperienza dall’intensità e dalla purezza tali da iniziarlo all’esperienza dell’estasi e alla meditazione sul destino ultimo degli umani. Dopo secoli, questo tipo di letteratura d’amore è rimasto ineguagliato. Se chiunque, nell’Europa occidentale odierna, proponesse di rappresentare i sentimenti privati come parte di un complesso piano divino, sarebbe giudicato anacronistico o folle. Specialmente se parlasse di adolescenti.
Per vedere di nuovo un amore inscritto in un destino superiore, è stato necessario cambiare sia il tipo di strumento espressivo, sia il continente d’origine. È stata necessaria una serie televisiva prodotta nella Corea del Sud.
Ovviamente, stiamo parlando di Goblin, attualmente disponibile sulla piattaforma online Rakuten Viki. È uscita nel 2016, è stata diretta da Eung-bok Lee e ha goduto di grande successo non solo nel Paese d’origine.
Il titolo è l’imperfetta traduzione di dokkaebi, un tipo di spirito presente nel folklore coreano: si forma da oggetti inanimati carichi di una lunga storia, come vecchi strumenti domestici dimenticati o arnesi intrisi di sangue umano. I dokkaebi sono imponenti e terribili; spesso, si rivelano nella pioggia o nella nebbia. Si annunciano sovente con una fiamma di colore blu. Sono dotati di grande forza e ottimi lottatori; possono aiutare gli umani o punirli. Sanno spesso evocare oggetti dal nulla.
Tutte queste sono caratteristiche di Kim Shin (Yoo Gong), il protagonista maschile della serie. In vita, era un generale al servizio di Wang Yeo (Kim Min-jae), un sovrano della dinastia Goryeo (918-1392). Le sue vittorie l’avevano reso un dio agli occhi della popolazione. Proprio questo (anche per via di cattivi consigli…) aveva suscitato l’invidia e il sospetto del giovanissimo re. Wang Yeo impose dunque a Kim Shin di morire gloriosamente in battaglia, per porre fine in bellezza alla presunta rivalità. Alla disobbedienza del generale, condannò a morte non solo lui, ma tutta la sua famiglia.
A questo punto, Dio concesse a Kim Shin quello che divenne contemporaneamente il premio per la sua rettitudine e il castigo per la sua arroganza: la sua stessa spada, conficcata nel suo petto, fece di lui un dokkaebi. Era infatti un oggetto intriso non solo del suo sangue, ma anche di quello di tutti i suoi nemici. L’avrebbe portata in corpo per sempre, durante una vita interminabile. Soltanto una persona avrebbe potuto estrarla dal suo petto e dargli finalmente la pace eterna: la sua sposa umana.
Dopo più di novecento anni, si affaccia alla vita di Kim Shin una ragazza diciannovenne, Ji Eun-tak (Kim Go-eun). È cresciuta orfana, allevata dalla malvagia zia insieme a due cugini meschini. Una novella Cenerentola, insomma. Lo stesso “Goblin” le aveva salvato la vita quando era ancora nel grembo della madre, senza sapere chi lei fosse. Per via di questa “morte mancata”, Ji Eun-tak ha sempre avuto un legame speciale coi defunti. Riesce a comunicare coi fantasmi… ma anche col Cupo Mietitore (Lee Dong-wook) incaricato a suo tempo di raccogliere la sua anima e quella della madre. La ragazza è una “persona stranamente omessa”: un caso che getta nel caos la rigida burocrazia dei Cupi Mietitori… A complicare le cose, ci sono i pettegolezzi dei fantasmi, che designano Ji Eun-tak come “la Sposa del Goblin”. Come andrà a finire?
Che il dokkaebi plurisecolare e la giovanissima protagonista s’innamoreranno è chiaro. Non è affatto chiaro, però, come si sbroglierà questo insolitissimo romanzo. Perché il loro amore non è su una nuvola rosa. È nel bel mezzo della rete degli umani destini, fra memorie perdute delle vite precedenti, anime che s’incontrano senza sapere il perché, fantasmi seccatori e divinità… soprattutto il Dio supremo. Compare nelle discrete sembianze di una farfalla, ma non è quello il suo unico aspetto. E richiede risposte agli umani, quando pone loro quella domanda detta “destino”.
Kim Shin E Ji Eun-tak sono davvero adatti l’uno all’altra? Dovranno per forza essere divisi dalla morte o potranno vivere una tranquilla storia romantica? E il Cupo Mietitore… cos’ha dimenticato del proprio passato? Quanti ricordi essenziali sono andati perduti, rendendo impossibile veder chiaro nel puzzle del fato? Con buona pace di Tiziano Ferro, l’amore non è una cosa semplice. E nessuna serie, poesia o romanzo può esimersi dalla complessità, se vuol raccontarlo.
Goblin ci riesce con grazia e anche con molti momenti d’ironia. La Seoul contemporanea s’intreccia con la Corea medievale, la quotidianità col miracoloso, l’umano col divino, senza attriti né esagerazioni. Perché, alla fine, l’esistenza umana è questo: un continuo annodarsi e riannodarsi di fili che attraversano tempi e mondi, passando per i cuori.
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