Passa ai contenuti principali

Le Muse dell’Onirico alla “Leonessa d’Oro”


le muse dell'onirico manerbio leonessa d'oroLa “Leonessa d’Oro” è un concorso nazionale per commedie dialettali giunto ormai alla quindicesima edizione. Si tiene a Travagliato, sotto la direzione artistica di Maria Teresa Scalvini, al teatro “Pietro Micheletti”. Il festival è patrocinato dal Comune locale, dalla Provincia di Brescia e dalla Regione Lombardia. La sua realizzazione è stata curata dall’Associazione Culturale Mosaico”, dalla Fondazione “A. Canossi” - Centro Culturale Prof. A. Cibaldi e dal Lions Club Montorfano Franciacorta. 

 Nel 2019, il concorso è durato dal 2 marzo all’11 maggio, per concludersi il 18 maggio con la “Notte della Leonessa d’Oro”. Si sono presentate undici compagnie, fra cui tre di area bresciana; le altre provenivano dalle province di Lodi, Mantova, Pordenone, Padova, Bergamo, Verona, Trento, Viterbo. La vera novità di questa edizione, però, è stata la partecipazione di una compagnia manerbiese: “Le Muse dell’Onirico”. Hanno presentato una versione interamente dialettale di Essere o apparire, questo è il dilemma: il riadattamento di Fumo negli occhi (2002) di Faele e Romano, curato dalla direttrice artistica Daniela Capra e dal regista Davide Pini Carenzi. I manerbiesi, ormai, ne conoscono bene la trama: Teresa Brandolini, moglie di un direttore di banca, è invidiosa della vicina di casa che naviga nel lusso, benché suo marito sia un semplice impiegato… Pur di apparire superiore alla rivale, Teresa impone alla famiglia una serie di follie che porteranno la situazione al paradosso.
            “Le Muse dell’Onirico” si sono esibite a Travagliato il 13 aprile, fra risate e battimani del pubblico. La Notte della Leonessa d’Oro, naturalmente, erano presenti per partecipare alle premiazioni. Il Gran Galà finale comprendeva intermezzi musicali a cura della Fanfara Alpina Tridentina “Walter Smussi”. Si sono esibiti anche i bambini del laboratorio teatrale “Matesca”: Giada Tonoli, Angela Pitozzi, Giorgia Baresi, Andrea Carini, Gabriele Ferraresi, Davide Rizzo, Daniele Bianolini. Per loro, è stata una delle prime occasioni di cimentarsi con la commedia dialettale, un genere che sembra non perdere freschezza nemmeno per le ultimissime generazioni. I piccoli hanno inscenato tre brevi pièces scritte da Giuliana Bernasconi e Maria Filippini: La diferensiada; La lengua de Paol; Piöf, piöf, la gata la fa l’öf. Regia e costumi erano di Maria Teresa Scalvini. Gli attori dialettali in erba hanno così dato corpo a: una diatriba tra due vecchiette e un commesso di supermercato sulla raccolta differenziata; uno “scacco matto” rifilato a un impiccione malaugurante; un rapporto fra nonna e nipotina ostacolato dall’ignoranza linguistica… ma di chi delle due, esattamente?
            Le vere emozioni della serata, però, sono state suscitate dall’aspettativa dei premi. “Le Muse dell’Onirico” si sono presentate da compagnia giovanissima (tre anni di attività) e per la prima volta come concorrenti della competizione. I riconoscimenti più ambiti, come c’era da aspettarselo, sono andati a gruppi di maggiore anzianità e già noti al teatro di Travagliato. La Leonessa d’Argento per la miglior compagnia bresciana è stata assegnata a “Il Risveglio” di Vobarno, per L’è nada zó de có. La Leonessa d’Oro realizzata da Giampietro Abeni è giunta invece nelle mani de “Il Siparietto” di Casalpusterlengo (LO). La loro commedia era Sciuri e pori diauli, versione lodigiana di Miseria e nobiltà.
            “Le Muse dell’Onirico” si sono però viste assegnare due nomination: una per la Miglior Attrice Esordiente a Fausta Pesce, la nuova signora De Marchi (la vicina invidiata); un’altra per la Miglior Attrice Protagonista a Daniela Capra, interprete di Teresa Brandolini. Decisamente non poco, per le “ultime arrivate nel giro”.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 143 (giugno 2019), p. 8.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i