Bruciare la Vecchia... |
“Brüšà
la èciå” è un noto termine tecnico per il rogo di metà Quaresima, destinato (per
fortuna) a un fantoccio. Comunque, per scaramanzia, le nonne di Manerbio
preferiscono scomparire dai paraggi, quella sera. Anche se è un’usanza
incruenta, è difficile liberarla dal suo retrogusto di “rogo di streghe”.
A
ogni modo, le sue origini sono più antiche: risalgono ai “falò di inizio anno”
diffusi in Italia nordorientale. Una pratica celtica voleva che i fuochi
propiziassero le divinità; vi si bruciava un pupazzo, simbolo di quanto andava
lasciato alle spalle. Gli antichi Romani facevano qualcosa di simile col
simulacro di Anna Perenna, divinità agricola: anziché al fuoco, era destinata
alle acque del Tevere. Simili tradizioni sono una via di mezzo tra un rito di
fertilità e uno di purificazione collettiva: si congeda l’inverno per
accogliere la primavera, mentre vengono gettate via le colpe della comunità.
A Manerbio, il rogo della vecchia, nel 2018, si è tenuto l’8 marzo: non per
tradire lo spirito della giornata, ma a causa del maltempo che ha fatto
posticipare l’evento.
Come
l’anno scorso, il falò è stato preceduto dal processo, inscenato dalla
compagnia dialettale “Chèi dè Manèrbe” all’oratorio “S. Filippo Neri”. La
locandina recitava: “Il rogo della vecchia all’ombra degli antichi sapori”.
Infatti, era possibile cenare in loco. I piatti forti, come sempre, erano
trippa e “pà e salamìnå”: tipicamente bresciani, sottolineavano la voglia di
tradizioni tipica della ricorrenza. Del resto, “brüšà la èciå” è sinonimo di
Giovedì Grasso: una pausa nelle penitenze quaresimali.
A
ogni modo, gli amanti della Giornata internazionale della donna non si
scandalizzino: durante il processo preparato da “Chèi dè Manèrbe”, il tribunale
era presieduto proprio da una donna, il giudice Tam-Tam Battimazza. Viceversa,
la femminilità della Vecchia era alquanto dubbia.
Il
primo a entrare in scena è stato l’appuntato Scavezzacolli, che trascinava la
gigantesca valigia della magistrata. Data la sua cecità, ha avuto non pochi
problemi a localizzare testimoni e imputata. Anche perché sono arrivati in aula
inseguendosi disordinatamente.
Chèi dè Manèrbe: il processo alla Vecchia |
La
prima a testimoniare contro la Vecchia è stata Bella Gioia: una vamp
decisamente sboccata, che accusava la rea… di dire parolacce. È poi stata la
volta di Onestino Senzamacchia: secondo lui, la Vecchia sarebbe stata solita
rubare agli anziani i cioccolatini… finiti nelle tasche dell’ “irreprensibile”
testimone. Secondo Bianca Lingualunga (un nome che dice tutto), l’imputata
sarebbe invece stata bugiarda e pettegola. Peccato che, dalla borsa
dell’accusatrice, traboccassero ancora i numeri del giornale parrocchiale
rubato dalla posta dei vicini. Ha pensato Romana Saltimbocca, armata di
mattarello e bigodini, a sottolineare la plateale incoerenza dei testimoni.
Anche la giudice era sfinita dalle baruffe manerbiesi.
L’ultima
scena è toccata alla signora Uvetta Passa, così detta dalla bizzarra
acconciatura a base di grappoli e foglie di vite. Alla nipotina Bim-Bam, ha
spiegato il senso della tradizione: la volontà di lasciarsi alle spalle le
cattive abitudini. Perché la Vecchia non è una persona con una fisionomia
autonoma. Rappresenta la parte più meschina di noi: quella che, oltre a
imprecare, denigrare, rubare, tende anche
a gettare le proprie colpe su altri.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 130 (marzo 2018), p. 12.
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