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"Luisa Miller" al Teatro Grande di Brescia

Ho assistito da poco a una coinvolgente rappresentazione della Luisa Miller verdiana (Napoli, 1849), al Teatro Grande di Brescia (5 novembre 2023). Non mi concedevo un'opera lirica dal vivo da tempi che mi sembrano geologici e devo dire che la crisi d'astinenza si faceva sentire. Il piacere è stato proporzionato alle dimensioni della medesima. Anche avere il soffitto dipinto del Teatro Grande a qualche palmo dal naso ha aggiunto non poco al godimento. 

La direzione era di Carlo Goldstein, la regia di Frédéric Roels. Di scene e costumi si era occupato Lionel Lesire, delle luci Laurent Castaingt. L'assistente alla regia era Nathalie Gendrot, il maestro del coro Diego Maccagnola. Ha cantato il coro di OperaLombardia e ha suonato l'Orchestra I Pomeriggi Musicali. Si trattava di un nuovo allestimento in coproduzione Teatri di OperaLombardia, Opéra Grand Avignon, Opéra de Tours, Teatr Wielki Poznan, Opera Slaska Bytom.

Una Luisa Miller creata dell'intelligenza artificiale

Questa è la trama: Luisa Miller (Alessia Panza, soprano) è una "vergine alpina", cioè una ragazza di montagna (in questo caso del Tirolo). Come vuole lo stereotipo, è schietta e innocente - e con altrettanta innocenza concepisce sentimenti sconfinati. È innamorata di un certo "Carlo", che si rivela essere Rodolfo (Giuseppe Infantino, tenore): il figlio del signore di quei luoghi, il conte di Walter (Cristian Saitta, basso). Il padre di Luisa (Gangsoon Kim, baritono), anziano soldato in ritiro, teme che questo "Carlo" sia un poco di buono. Però, rispetta i sentimenti della figlia, al punto da permetterle di rifiutare la corte insistente di Wurm (Alberto Comes, basso), il castellano del conte. Nel frattempo, Walter ha combinato le nozze di Rodolfo con la duchessa Federica (Aoxue Zhu, contralto), che è cugina del promesso sposo ed è da poco rimasta vedova, con un titolo e un patrimonio consistenti. Ma Rodolfo preferisce l'amore all'ambizione e rifiuta questo matrimonio, per fedeltà a Luisa. Allora, Wurm e il conte cercano di farlo capitolare con un inganno... 

Quello che colpisce subito della trama è il ruolo che gioca la sfiducia nel determinare il finale tragico. Rodolfo, così capace di innamorarsi follemente e senza condizioni, è altrettanto veloce nel dubitare della sua Luisa, davanti a una falsa lettera che gli viene presentata. Così pure Alfredo della Traviata o Edgardo della Lucia di Lammermoor... Possibile che non sentano la puzza di bruciato? Che non sospettino siano state fatte segrete pressioni sulle loro donne? Sembra quasi che si fidino di più di famiglie manipolatrici e anaffettive che non delle persone che dicono di amare... Forse perché l'amore genuino ci rende anche vulnerabili. Colui o colei che ha in mano il nostro cuore potrebbe farci tutto il male che volesse... è proprio il nostro attaccamento a renderlo la persona più temibile e sospetta. D'altra parte, lo stesso sentimento ci fa tremendamente creduli, quando il dolore ci rende necessario credere. È il caso della buona Federica, ferita perché l'adorato cugino le preferisce un'altra. È pronta a bersi un'enorme panzana, pur di illudersi. La tragedia di Friedrich Schiller da cui l'opera è tratta s'intitola proprio Kabale und Liebe, "Intrigo e amore"... Esisterà davvero l'amore genuino, senza ombre o sospetti? A quanto pare, esiste solo nel cuore di Luisa Miller. È l'unica a non sospettare né dubitare. Dell'intrigo è solo vittima innocente, spaventata da un orrendo ricatto affettivo. Deve sostenere fino in fondo la sua parte di angelo sacrificale, se si vuole che il pubblico pianga. Non così innocente è Rodolfo, che ha il suo bravo lato ombroso e anche omicida. 

Altra cosa che spicca è il confronto fra due diverse paternità. Il conte di Walter è il classico padreterno, che vuole il figlio felice... sì, ma nei modi dettati da lui. Di lasciarlo essere se stesso e di fargli fare le sue scelte non si parla proprio. Non può concepire che Rodolfo possa stare benissimo senza essere la sua copia. Certo, il conte ha commesso anche uno squallido delitto... ma per il bene di suo figlio, diamine! Per il suo futuro! Chissà perché, davanti alle proprie peggiori schifezze, si invoca il nume della famiglia...

Servi e guardie del conte, nella rappresentazione bresciana, indossavano tonache e abiti talari: un modo eloquente di sottolineare che il loro signore si sente Dio?

Ma che Dio differente da quello a cui si ispira la paternità di Miller! Davanti a Wurm, che vorrebbe fargli forzare la volontà di Luisa, lui risponde: 


Non son tiranno, padre son io,

non si comanda de' figli al cor.

In terra un padre somiglia Iddio

per la bontade, non pe 'l rigor.


Chissà come doveva suonare questo confronto fra Miller e Walter, alle orecchie del pubblico ottocentesco... un pubblico in cui c'erano molti padri di figlie in età da marito... La popolarità di cui godeva il teatro d'opera avrà fatto la sua parte nei dibattiti sui rapporti fra le generazioni. Se, oggi, il nostro cuore si vede riconosciuta una qualche dignità davanti ai dettami sociali, lo dobbiamo anche a questa grande stagione del Romanticismo. Ma né Verdi né il librettista Salvadore Cammarano erano così ingenui da servire un facile lieto fine. L'arroganza sociale e i calcoli d'ambizione sono ancora lì, con tutta la forza delle loro pretese. Possono fallire nel dividere i due innamorati, ma sono in grado di fare altri danni... di rimandare la loro unione a un'altra vita. 

Purtroppo (ma giustamente), le regole del Teatro Grande vietano fotografie e riprese durante le rappresentazioni. 

Quindi, posso solo descrivere la peculiare messa in scena. In un'ambientazione senza tempo, scenografie e costumi strizzavano l'occhio all'estetica di Tim Burton. Wurm, il verme della situazione ("Wurm" vuol dire proprio "verme", in tedesco) era elegantemente abbigliato in rosso, trasformato in un incrocio fra Willy Wonka e il demonio. Particolarmente viscida la sua battuta:


Coraggio: il tempo è farmaco

d'ogni cordoglio umano.


"Col tempo, passa tutto..." Praticamente, la firma dei pezzi di sterco.

 La scenografia riproduceva architetture gotiche e uno spettrale orologio in vetro e ferro battuto dominava la scena. Il suo giro di ventiquattr'ore scandiva gli eventi: il destino infelice di Luisa viene segnato nell'arco d'un solo giorno, quello del suo compleanno. Se la vita è un ciclo, perché non concluderla nel punto del suo inizio? 

Il cupo romanticismo delle atmosfere di Tim Burton ha reso benissimo questa triste fiaba, sottolineando anche come essa non sia legata solo al Tirolo del XVII secolo, né solo all'Ottocento. Amore, errori e manipolazioni ci riguardano tutti e possono essere reali in ogni epoca... come le fiabe, sì.


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