L’estate 2020 è stata funestata da una notizia feroce: i Carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Siena, con il coordinamento della Procura dei Minori di Firenze, hanno portato alla luce i risultati dell’operazione “Delirio”. Da essa, è risultato che diciassettenni pagavano per assistere a torture e violenze sessuali su bambini. Per l’esattezza, pagavano in criptovalute per accedere a siti nascosti nel cosiddetto deep web: qui, visionavano i filmati coi suddetti contenuti e interagivano con gli autori delle efferatezze, richiedendone altre. Le violenze sui bambini arrivavano anche all’amputazione e all’uccisione.
Questa è la versione estrema degli
abusi sempre temuti sui più piccoli. Il
corpo dei bambini, tanto nel diritto italiano quanto nel sentire comune, è
una sorta di campo minato, di “non mostrabile”, ai confini fra il sacro e il
proibito. La cosa sembrerebbe tantopiù strana, quantopiù proprio l’infanzia è
l’età in cui la fisicità è vissuta con naturalità e senza malizia.
Probabilmente, il timore per quanto
il desiderio dell’adulto potrebbe
proiettare sul corpo del minore è radicato in fatti che il mondo mediterraneo
conosce sin dall’antichità. Basta leggere alcuni carmi di Catullo: nel LXI, che
è un canto di nozze, viene citata la precedente abitudine dello sposo di
giacere con paggi glabri (v. 142),
cioè imberbi e senza peli. Giovanissimi, quindi, forse poco più che bambini. La
preferenza sessuale degli uomini adulti per i ragazzini prepuberi non era
peraltro una rarità: rimandiamo a quanto scrive Eva Cantarella in L’amore è un dio. Il sesso e la polis (Feltrinelli 2007, pp. 97 ss.) e Dammi mille baci. Veri uomini e vere donne
nell’antica Roma (Feltrinelli 2009, pp. 82-94).
Fantasie erotiche simili, per quanto
attualmente siano oggetto di pesanti sanzioni sociali, sono dunque radicate da
tempo nella cultura latina. La loro persistenza è una delle motivazioni che
spinge a temere le avances degli adulti nei confronti dei giovanissimi.
Bisognerebbe poi aprire un capitolo a parte circa la vera e propria pedofilia, cioè l’attrazione sessuale
per i bambini. Molti nostri connazionali (in buona compagnia di cittadini
d’altri Paesi) sono noti per il turismo sessuale con minori e per la frequentazione delle cosiddette “baby prostitute”: indice della non indifferente diffusione di questo tipo di
pulsione, anche in soggetti “insospettabili”. Ne deriva, di conseguenza, una
particolare severità del nostro codice penale verso qualsiasi atto riguardi il
rapporto degli adulti col corpo di bambini e ragazzi, anche solo sotto forma di
rappresentazione grafica.
L’art. 600 ter del Codice penale tratta proprio della pornografia riguardante minori di anni diciotto. Esso prevede anche la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 2.582 a euro 51.645 per chi distribuisce materiale pedopornografico con qualsiasi mezzo. Per chi offre o cede ad altri questo tipo di materiale, anche a titolo gratuito, la reclusione è di tre anni e la multa da euro 1549 a euro 5164. La definizione di “pornografia minorile” data dal suddetto articolo è la seguente:
“…ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.”
Vale forse la pena di citare anche la severità della deontologia giornalistica circa la diffusione di immagini di minori tout court. Ne parla la Carta di Treviso sulla tutela dei minori (5 ottobre 1990):
“3) va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua [del minore] identificazione, quali […] foto e filmati televisivi non schermati, messaggi e immagini on-line che possano contribuire alla sua individuazione.”
Viene
prevista un’eccezione: la divulgazione di immagini e dati personali finalizzati
a ritrovare bambini e ragazzi rapiti o scomparsi, ovviamente con
l’autorizzazione dei genitori e delle autorità competenti (punto 8).
Abbiamo quindi sufficienti elementi
per dire il corpo dei bambini è una vera e propria “patata bollente”, almeno nel nostro Paese. Il rischio di incorrere
nel reato di pedopornografia pone un forte freno anche alla rappresentazione artistica del nudo
minorile. Dato che il desiderio erotico è qualcosa di alquanto ambiguo e
soggettivo, qualsiasi presenza di anatomia e genitali infantili in un dipinto o
una fotografia può essere tacciata di “scopi sessuali”. Il tutto in modo
alquanto arbitrario, che fa
sospettare più perversione in chi condanna la rappresentazione della nudità che
non in chi la realizza.
Questo ha portato a famose
controversie nella realizzazione di copertine
di album musicali.
Risale al 1969 l’episodio della
copertina di Blind Faith, unico album dell’omonimo gruppo rock inglese. Una
ragazzina undicenne, di cui si vedono le nudità fino alla cinta, regge un
modellino di aereo. La spiegazione del fotografo può essere letta alla voce
“Blind Faith (Blind Faith album” di Wikipedia in inglese: la modella
giovanissima rappresentava l’innocenza che portava nel mondo il prodotto della
creatività e della tecnologia. La scelta dell’età doveva evitare sia che la
foto fosse percepita come ammiccante feticcio (come sarebbe avvenuto con
l’immagine di una donna adulta), sia che fosse del tutto senza significato
(come sarebbe capitato scegliendo la figura di una bambina più piccola). Ciò
non impedì che il modellino di aereo fosse visto da molti come “simbolo
fallico”. In America, l’album fu pubblicato con un’altra copertina (il
convenzionale ritratto della band).
Nel 1976, a far parlare di sé fu
invece la copertina di Virgin Killer degli Scorpions, gruppo metal tedesco. L’originale mostrava
infatti una bambina nuda, con un effetto grafico che ne nascondeva i genitali.
L’idea fu della compagnia discografica, con la ben precisa intenzione di
attirare l’attenzione. La bambina rappresentava (ancora una volta) l’ingenuità,
destinata a essere uccisa dal tempo (si cresce e si perde l’innocenza,
soprattutto in un’epoca senza compassione…). A ogni modo, il risultato non fu
di buon gusto e la copertina, in alcuni Paesi, fu sostituita.
Nel 1991, fu la volta del caso forse
più famoso: l’album Nevermind dei Nirvana, il noto gruppo grunge americano. La sua
copertina rappresentava un bambino di quattro mesi che nuotava in una piscina.
L’idea venne a Kurt Cobain stesso, dopo aver visto un documentario sul parto in
acqua. Dato che il piccolo era nudo, si temette un blocco della distribuzione
del disco per ragioni di censura. Cobain, però, si oppose a ritocchi della
copertina, rispondendo che chi poteva sentirsi offeso dall’immagine del
pene di un neonato, probabilmente, doveva essere un pedofilo represso.
I pedofili (più o meno repressi)
sono indirettamente il perno intorno a cui ruota la rappresentazione del corpo
dei minori, nel nostro Paese. Il loro fantasma è tanto presente nelle menti dei
legislatori e dei cittadini da sovrastare l’innocenza dei bambini e la
creatività degli artisti. “Poco male”, potreste dire. In fondo, cosa si perde?
Si perde la pulizia della mente. Si perde il talento di fotografi, pittori, modelli,
che potrebbero dare risultati sorprendenti. Si perdono, in particolare, la
vocazione e la ragione di vivere dei potenziali artisti neurodiversi (= con
sindromi dello spettro autistico), laddove la natura li ha forgiati per
esprimere il proprio talento in quest’unico campo. Laddove la paura e la
perversione dettano legge al di sopra della bellezza e dell’innocenza, la
civiltà risulta sconfitta. Al presente, viviamo in una civiltà dove è quasi
impossibile guardare alla rappresentazione del corpo umano (non solo a quello
dei più piccoli) senza disgusto o malizia. Sono stati versati fiumi
d’inchiostro per scrivere leggi che regolamentino questo campo della produzione
grafica. Il tutto per “proteggersi dal marciume”. C’è forse così tanta sporcizia in decine di milioni di menti di da
giustificare un continuo nascondere, censurare, condannare? Il fatto di cronaca
con cui abbiamo dato inizio al pezzo sembrerebbe rispondere di sì.
Allora, è arrivato il momento di
fare una cosa non rimandabile: svuotare
i cassetti della nostra mente, per vedere finalmente quanto marcio ci sia
nella nostra cultura. Quanti desideri repressi, quante fantasie negate, quante
cose non oseremmo mai confessare. Quante parti della nostra innocenza siano
state uccise dal sunnominato “Virgin Killer”. Sgradevole, certo. Ma assai meno
peggiore che continuare a proiettare un fantasma su cose naturali e innocenti
come un organo genitale. Perché il male non è in un pene o in una vagina, più o
meno giovani o esposti. È nel cervello di chi decide che valga la pena di
spendere per vedere atrocità commesse sugli indifesi, come se fossero rare
delizie. È nel cervello di chi riesce a vedere il sesso pedofilo in un
modellino di aereo (complimenti per la fantasia). Come direbbe Kurt Cobain, ciò
che ci offende ci rivela ciò che siamo.
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