Chi non ha mai sentito nominare La dolce vita di Federico Fellini (1960)? È uno di quei film proverbiali anche per i non cinefili. A molti è capitato di indossare una "dolcevita", la maglia del protagonista. Un fotografo che sorprende le celebrità in occasioni private è un "Paparazzo", come l'omonimo personaggio. Eppure, quanti hanno davvero guardato questa lunga pellicola fino in fondo? Essa può sorprendere.
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Fonte: Collider.com |
"La dolce vita" è un titolo ripreso da una commedia di Arnaldo Fraccaroli. È divenuto sinonimo di lusso, divertimenti notturni, feste e avventure galanti: il mondo in cui lavora Marcello (Marcello Mastroianni), cronista mondano a Roma. Lui proviene da una zona provinciale: è evidente che è arrivato nella capitale per fare carriera e respirare un'atmosfera più viva. Si può dire che "ce l'abbia fatta", in un'Italia che inizia a dimenticare guerra, povertà e arretratezza. Però, fin da subito, la vita apparentemente "dolce" di Marcello mostra incrinature. In un lussuoso ristorante in stile orientale, dove sta tenendo d'occhio le gesta di un principe, incontra Maddalena (Anouk Aimée): bella, ricca, libera e infelice. Solo l'amore (dice lei) può darle l'energia per vivere. Ma dov'è l'amore? Nei suoi fugaci abbracci con Marcello, dentro la casa fatiscente di una prostituta?
Fra l'altro, il giornalista convive già con Emma (Yvonne Furneaux): un "angelo del focolare" di cui lui è ormai annoiato. Non ha mai ufficializzato il rapporto con lei, sebbene esso ricalchi tutte le aspettative della classica coppietta borghese. Emma è la prova di come a una donna non basti più votarsi al letto e alla cucina, per essere amata: forse, non è mai bastato. Il suo rapporto con Marcello è tossico e vischioso: non sanno amarsi, ma neppure lasciarsi. Allora, dov'è la felicità? In quel "sogno americano" portato in Italia proprio dal cinema? Esso arriva nella splendente forma di Sylvia (Anita Ekberg): una diva americana, appunto, ai cui piedi Marcello cade immediatamente. Sì, è lei la leggendaria bellezza che fa il bagno nella fontana di Trevi. Sylvia guarda Roma con occhi quasi di bambina. La Città Eterna, nel suo sguardo, si confonde con Firenze, in una sorta di "Italia mitica". Ogni angolo dell'Urbe è per lei un posto di fiaba: la Cattedrale di San Pietro, i locali notturni dove si balla il rock, i gattini randagi nei vicoli, la famosa fontana. Marcello trova in lei quella felicità completa che è solo sogno e svanisce al mattino, come quel bacio mai dato.
La storia del giornalista si svolge come un labirinto senza fine, tra grandi attori con una vena di follia, ballerine compiacenti, stanche feste nobiliari in cui gli invitati danno la caccia ai fantasmi del loro passato avito. L'unica oasi di pura gioia sembrerebbe essere la casa di Steiner (Alain Cuny): scrittore, musicista e carissimo amico di Marcello. Anche quest'ultimo sogna di diventare scrittore. Si capisce bene come Steiner sia il suo ispiratore, l'unico a potergli dare un aggancio per uscire dall'insoddisfazione in cui si è invischiato. Ma questa felicità, ancor più elevata e pura di quella promessa da Sylvia, non finirà con un risveglio ancor più traumatico?
Intanto, Marcello si barcamena di festa in festa, di bizzarria in bizzarria, con l'animo di chi vuole sfuggire a un vuoto. Come Maddalena, vorrebbe tutto: una famiglia e una vita stimolante, il divertimento e l'amore. È possibile tutto questo, ora che l'Italia è entrata nei "favolosi anni Sessanta"?
La dolce vita è una fiaba sulle promesse di una città e di un'epoca. È un film amaro sul "male di vivere" che cova sotto le superfici scintillanti. Dietro quel carosello d'immagini seducenti, pulsa un irresistibile vuoto. Dov'è l'amore? Dov'è la felicità?
Forse, solo in quell'incontro casuale in trattoria con un volto simile agli angioletti dei pittori umbri (Valeria Ciangottini). Sembrerebbe un'apparizione minore, fugace. Invece, il film si conclude proprio con quel viso angelico. Marcello non riesce a capire la lieta novella che lei gli sta portando; ma lo sguardo benaugurante della giovane lo accompagna e firma il finale. Finché c'è vita (dolce o meno), c'è speranza.

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