Un altro concorso docenti è arrivato. Come ogni santa volta, si sprecano le polemiche di noi precari storici: sulle prove senza senso, sull'assenza d'ogni legame fra i loro contenuti con la realtà del nostro lavoro, sull'eccessivo apporto della fortuna nei risultati, sulla scelta infelice delle sedi (strategicamente piazzate in luoghi dimenticati da uomini e dei), sul divieto di andare al bagno prima che sia stata completata la procedura della prova scritta (per urgente e imprevisto che sia il bisogno). Anche pagine Facebook deliziose come Portami il diario parlano del senso di assurdità che si prova, quando si partecipa alle procedure.
Immagine creata con Leonardo A.I. |
Anche chi passa entrambe le prove (scritta e orale) deve trascorrere da precario un numero indeterminato di anni, prima di ottenere il famoso ruolo.
Dopo ogni prova concorsuale, fioccano i ricorsi legali per via di errori nelle prove e irregolarità varie.
Certo, ci sono anche coloro che ottengono finalmente l'agognato posto a tempo indeterminato, in condizioni da sogno rispetto a quelle di altri impieghi. Ma questo vale quanto l'esempio dell'orologio rotto che segna l'ora giusta due volte al giorno.
Nel frattempo, le scuole continuano ad assumere insegnanti precari, perché il bisogno c'è. E i precari sono più disponibili e meno costosi, spesso ben più qualificati e talentuosi rispetto al lavoro che saranno chiamati a svolgere.
Questo precariato prolungato ad infinitum, peraltro, è una violazione dei diritti garantiti per legge ai lavoratori precari.
La vera domanda è: perché stiamo ancora a questo gioco?
Il precariato storico degli insegnanti è un'anomalia italiana ben nota. Il fatto che (dopo anni di onorato servizio e una formazione continua) si debba ancora "dimostrare le proprie competenze" tramite una procedura vessante e farsesca è dovuto al giro di soldi legato ai concorsi. Ci guadagna il Ministero dell'istruzione, che intasca le tasse d'iscrizione. Ci guadagnano le case editrici che sfornano i manuali di preparazione e persino i sindacati e i portali online che offrono corsi di formazione. Gli unici a non guadagnarci siamo noi, che ci facciamo guidare da una speranza remota e del tutto scollegata dai nostri meriti.
Se questo meccanismo disfunzionale continua a rimanere tale e quale, è perché noi gli diamo il nostro assenso e il nostro denaro. Siamo come quelle donne che tornano continuamente insieme al marito violento, confidando nelle sue promesse. Insomma, ci facciamo prendere in giro.
A questo punto: e se boicottassimo i prossimi concorsi docenti?
Nessuno ci obbliga a stare al gioco. Siamo perfettamente coscienti che un bando di concorso farà tutto tranne che risolverci l'esistenza. Siamo anche moralmente tenuti a informare gli inconsapevoli speranzosi.
Quindi, se non vedremo cambiamenti sostanziali nelle procedure, smettiamo di iscriverci ai concorsi. È il potere più
concreto che abbiamo. Continuare a inserirci nel tritacarne con la speranza di essere "quell'uno su mille che ce la fa", a questo punto, è una cosa che offende la nostra razionalità e consapevolezza. Anche lamentarsi e fare ricorsi a vuoto non ha molto senso. Solo un boicottaggio di massa può dare un segnale forte e liberarci in ogni caso da un meccanismo perverso.
Gli orologi rotti si riparano o si gettano via. Tertium non datur.
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